17 Febbraio 2021 - Mercoledì delle Ceneri Anno B
- don luigi
- 18 feb 2021
- Tempo di lettura: 5 min
Gl 2,12-18; Sal 50/51; 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18
La Quaresima: tempo di riconversione

La Quaresima è un tempo conversione. La Chiesa ci invita ripetutamente a riconsiderare questo aspetto della fede, non tanto per assolvere un precetto, quanto per verificare se siamo realmente conformi a Cristo, unico termine di confronto per chi ha deciso di fare una scelta di vita evangelica. Essa diventa così l’occasione opportuna per fare il punto della situazione esistenziale e per capire se disponiamo ancora delle condizioni spirituali che ci consentono un suo rinnovato sviluppo. Più che di un inizio si tratta allora della ripresa di un cammino, cominciato al momento della chiamata, ma poi molto spesso interrotto a causa dei condizionamenti culturali, preoccupazioni della vita quotidiana, disagi morali, difficoltà relazionali, e così via. Lungi dal fare analisi e moralismi sul passato intendiamo cogliere questa ennesima occasione che Dio ci offre per capire il senso della conversione, come accade, cosa comporta e perché la Chiesa ce la raccomanda con tanta attenzione e premura.
Convertirsi è come erigere una torre: prima di iniziarne la costruzione è opportuno verificare se si dispone di un adeguato capitale economico. Gesù ci offre questo paragone nell’ambito delle condizioni della sua sequela (cf Lc 14, 28-30). Molti erano quelli che stimolati dal suo stile di vita evangelico, chiedevano di unirsi a lui (cf. Lc 14, 25; Mt 8,19.21), ma non tutti dimostravano di avere i requisiti per farlo (cf. Mt 8,20.22). Da qui la ragione che spinge Gesù ad elencare una serie di condizioni (cf. Lc 14,26-27; 19,21.29; Mc 8,34-37; Mt 16,24-26), con le quali, tutti coloro che, allora come oggi, avvertono il desiderio di conformarsi al suo Vangelo, sono chiamati a confrontarsi. Esse diventano perciò il criterio per verificare l’idoneità della sequela. In questo senso convertirsi a Cristo non significa porsi solo dietro di lui o fare una semplice professione di fede, e neppure eseguire in modo servile i suoi precetti, ma conformarsi al suo modo di pensare, di amare, di vivere, di relazionarsi. In altre parole, significa aderire al suo Vangelo e condividerne la logica di vita. È qui il nucleo, il luogo e la ragione del cambiamento. La conversione prevede perciò la revisione delle proprie qualità e disposizioni religiose, morali, spirituali, mentali, affettive, relazionali senza le quali il processo di conversione espone la nostra vita al ridicolo e alla derisione degli altri (cf. Lc 14,29-30), provocando solo una drammatica ed inutile disfatta esistenziale (cf, Lc 14,31-32). Per questo motivo è opportuno verificare continuamente le cause che la motivano e se essa sta concretamente coinvolgendo e trasfigurando la nostra vita, in tutte le sue forme e ambiti. Questa verifica comporta il riscontro di una effettiva opera dello Spirito di Dio in noi e quindi la conferma dell’origine divina del suo cambiamento. Senza questo fondamento il cammino di conversione rischia di ridursi solo ad un’epidermica e momentanea euforia spirituale (cf. Lc 8,13), oppure di esporre la nostra vita ad un pericoloso processo di ipocrisia religiosa, contro la quale Gesù, sulla scia dei profeti che l’hanno preceduto, si scaglia con veemenza e durezza (cf. Mt 23,1-12). Non basta, dunque, ripetere: “Signore, Signore” (Mt 7,21) e neppure limitarsi ad accogliere con fervore ed entusiasmo la sua parola (cf. Lc 8,13), ma occorre giungere alla radice o meglio alla roccia della conversione (cf. Mt 7,24). Questo lavoro comporta il passaggio dall’“ascolto” (cf. Mt 7, 26) – fatto di sola comprensione intellettiva – alla “pratica” (cf. Mt 7,24) – che implica invece la capacità di accoglierla, radicarla ed incarnarla nella propria vita personale ed ecclesiale. La conversione prevede non solo il coraggio di investire tutto il capitale della propria vita su Dio, che come dice Gesù all’inizio ci appare come un piccolo, quanto insignificante granello di senape (cf. Mc 4,30-32), ma anche la forza di affrontare l’ora della tentazione (cf. Lc 8,13), suo inevitabile banco di prova. Da qui la necessità del discernimento, che consiste nell’acquisire i criteri per riconoscerne l’effettivo cambiamento che essa comporta nella nostra vita personale, ecclesiale e sociale. La conversione dunque pur essendo un evento divino è, al contempo, un processo umano che coinvolge in maniera integrale tutte le sfere della nostra vita: religiosa, morale, affettiva, spirituale, intellettuale. Per questa ragione essa pur riguardando la mente – metanoia significa infatti andare oltre il comune modo di pensare Dio e la vita spirituale che essa comporta - ha come centro il cuore. In questo senso la conversione è fondamentalmente una questione d’amore. Essa s’origina infatti dalla partecipazione personale alla vita d’amore di Dio, e risponde all’istanza di ristabilire quella originaria e misteriosa relazione con lui, riconosciuta come dimensione fondativa dell’esistenza umana. Sant’Agostino dà prova di averla ben compresa quando, rivolgendosi a Dio, dice: “Il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in te”. Prima ancora di essere motivata da un imperativo morale la conversione è generata dal nostro incontro personale con Dio. È qui il principio della nostra salvezza e della nostra libertà. Il cambiamento che essa comporta non è determinato dalla nostra volontà o dal nostro impegno religioso, ma è una conseguenza di questo incontro e di quello che esso comporta nella nostra vita. La conversione è una manifestazione della rinnovata visione di vita che lo Spirito compie in noi e intorno a noi. Egli è colui che fa nuove tutte le cose (cf. Ap 21,5). È lui il principale artefice della nostra conversione.
Gioele parla di questo rinnovamento come di un ritorno a Dio, originato da un’invocazione che Dio stesso rivolge a tutto il popolo: “Ritornate a me con tutto il cuore” (Gl 2,12), e confermato dalla personale testimonianza del profeta: “Egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore, pronto a ravvedersi riguardo al male” (Gl 2,13). Dio provoca il nostro ritorno infondendo nel cuore un’indomabile nostalgia di lui e della sua casa. È qui che rinasce in ciascuno di noi la possibilità di riscoprire la nostra fondativa relazione con Dio. Essa genera un ripensamento della nostra condotta di vita, suscitando il desiderio di un ravvedimento e di un rinnovamento della mente e del cuore.
Si tratta di un momento di grazia che san Paolo esorta a non lasciar passare invano: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20). Dio ripetutamente sussurra al nostro cuore: “Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso” (Is 49,8). L’apostolo, come sollecitato dal desiderio struggente di far cogliere questa speciale opportunità dello Spirito, ribadisce: “Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza” (2Cor 6,2).
Gesù traduce questo ritorno a Dio con un movimento introspettivo, nel quale l’uomo è invitato a rientrare in se stesso: “Quando preghi, entra nella tua camera” (Mt 6,6). È lo stesso movimento col quale il Figliol prodigo, rientrato in se stesso (cf. Lc 15,17), decide il suo ritorno al padre. Si tratta dunque di un momento decisivo nel quale il peccatore scopre la possibilità di risignificare tutta la propria vita, partecipando della stessa opera ricreativa del Padre, ricompreso come il centro unificativo del proprio io.
Per Gesù allora il digiuno, la preghiera e l’elemosina in tanto hanno senso in quanto costituiscono segni manifestativi di un cambiamento interiore, nel quale l’uomo decide il suo desiderio di conformare la propria vita a quella evangelica di Gesù. È la testimonianza di questa vita a dare ragione della nostra reale conversione a Cristo.




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