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16 Gennaio 2022 - Anno C - II Domenica del Tempo Ordinario


Is 62,1-5; Sal 95; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-11


Non hanno più amore



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L’episodio evangelico delle Nozze di Cana – come abbiamo già accennato domenica scorsa – costituisce un ulteriore sviluppo del piano rivelativo di Dio. Con questo evento Cristo, di cui abbiamo da poco celebrato l’evento incarnativo, entra, per così dire, nel vivo della vita ordinaria umana, in particolare nel cuore delle relazioni coniugali. Si capisce perciò la straordinaria portata simbolica che questo episodio ha per la vita matrimoniale e più estesamente per il rapporto tra Cristo e la sua Chiesa. Egli si rivela come il vero Sposo a cui fa riferimento tutta la tradizione veterotestamentaria a partire da Osea fino al Cantico dei cantici[1] e quella neotestamentaria da quella evangelica[2] fino a quella paolina[3]. Per questa ragione l’episodio di Cana va letto e meditato insieme a quello del Battesimo di Cristo. Entrambi inaugurano la vita pubblica di Gesù ed entrambi danno origine alla vita nuova in Cristo o, più specificamente, alla vita nello Spirito, di cui parla Paolo nell’odierno brano della prima lettera ai Corinti (1Cor 12,4-11).

Due sembrano essere, allora, gli aspetti ai quali allude questo episodio: la vita coniugale e la vita ecclesiale. Nell’uno e nell’altro caso Cristo costituisce lo Sposo, col quale tanto i coniugi quanto i fedeli sono chiamati ad interagire, per partecipare di quella relazione intima e profonda che Gesù intesse col Padre nello Spirito, che è alla base della reciproca donazione di sé all’altro, e costituisce, al contempo, il principio e fondamento di ogni atto generativo della vita fisica e spirituale. Del primo aspetto abbiamo già parlato durante il commento alla liturgia della Santa Famiglia di Nazaret (cf. 26 dicembre 2021), nel quale abbiamo esposto la chiave di lettura per comprendere la dinamica dell’amore coniugale, specie quando questo comincia a mancare a seguito di una relazione matrimoniale abituale. Vorrei in questa circostanza richiamare alcuni passaggi significativi di quel commento. Molto spesso la fase critica dell’amore nella quale entrano i coniugi dopo alcuni anni di matrimonio, viene intesa come un segno della fine della vita coniugale. Giunti alla quale si provvede solitamente con una soluzione di tipo psicologico o, in casi estremi, legale. In realtà si tratta di una fase di cambiamento molto delicata, che senza escludere l’aspetto psicologico necessita di una considerazione spirituale, specie per coloro che hanno deciso di celebrare religiosamente il loro matrimonio. Senza prescindere dall’amore fisico, tale cambiamento può aprire ad una nuova e più straordinaria dimensione spirituale, che costituisce il naturale sbocco di quello umano. Un risvolto questo, però, al quale la stragrande maggioranza dei coniugi non è affatto preparata, da qui l’amara deduzione della fine del matrimonio. Come capire questo cambiamento? È chiaro che chi si ostina a praticare solo l’amore umano o più chiaramente fisico, rimane ad uno stadio superficiale e preclude qualsiasi possibilità al proprio spirito di acquisire quella sensibilità che gli consente di cogliere e registrare i moti appena percettibili dello Spirito di Dio in lui. È necessario perciò predisporsi a questa dimensione spirituale. Per farlo vi invito a cogliere il significato di quegli atteggiamenti con i quali Giovanni descrive il profilo dei protagonisti di questo brano. In primo luogo quello di Maria. Tra tutti gli invitati, lei fu l’unica ad accorgersi che era venuto a mancare il vino. E cosa fa? Senza smarrirsi o perdersi d’animo, va immediatamente dal figlio a presentargli la situazione, invitandolo, anzi, inducendolo teneramente ad intervenire, come solo le mamme sanno fare; facendogli anticipare, in questo modo, l’ora della sua manifestazione.

L’episodio ci provoca alcuni interrogativi, dai quali è bene lasciarsi interpellare: cosa ci suggerisce la particolare attenzione di Maria in questa circostanza? A cosa allude la mancanza del vino? Perché Maria si rivolge a Cristo e non al maestro di tavola? Quale significato assume l’intervento di Cristo per la vita matrimoniale? A cosa allude la trasformazione dell’acqua in vino? Come ci si comporta quando a mancare non sono i beni materiali, ma il fondamento dell’amore? A quale tipo di intervento si ricorre in queste circostanze?

Si intuisce allora che Giovanni quando ha scritto questo brano non era solo per trasmetterci un episodio di vita evangelica, ma per invitarci a cogliere un significato che va oltre la cronaca quotidiana. Lo scopo di queste domande pertanto è quello di favorire nei coniugi uno sguardo introspettivo che aiuti a prendere coscienza della vera natura del problema. L’attenzione che Maria manifesta in questa circostanza allude allora a quella sensibilità spirituale che i coniugi devono recuperare per riscoprire il senso originario del loro amore e quindi della loro chiamata. Per questa ragione quando tutto ciò viene a mancare, dovranno fare come Maria: rivolgersi a Cristo. È lui che conosce fino in fondo la natura dell’amore e dell’amore coniugale, e come tale lui è l’unico che può trasformare l’amore umano in amore divino. Pertanto, la mancanza d’amore di cui i coniugi fanno esperienza durante la vita matrimoniale, lungi dall’essere considerata un limite costituisce un segno indicativo di un processo di cambiamento in atto. Di un cambiamento tuttavia che può trasformarsi in una rinnovata vita spirituale, se i due saranno disposti a risignificare il loro matrimonio nella luce dell’amore divino. È a questo livello che si dischiude il senso autentico e originario della loro scelta matrimoniale, quello cioè di essere chiamati a diventare una sola cosa in Cristo, per mezzo dell’amore reciproco (cf. Mc 10,6-7; Gen 1,27; 2,24). È a questo disegno divino che i due hanno deciso di aderire sposandosi. Ed è qui il cuore pulsante della loro vita coniugale.

Questa trasformazione è all’origine anche della vita ecclesiale, alla quale allude ancora il nostro episodio. L’amore coniugale diventa così l’immagine dell’amore sponsale di Cristo con la sua Chiesa. Pertanto come nella vita matrimoniale l’amore fisico è chiamato a trasformarsi in quello divino, così nella Chiesa le relazioni umane sono chiamate ad essere trasformate in quelle spirituali, grazie alle quali diventa possibile realizzare la vita filiale di Cristo. In questa luce si capisce che l’unità alla quale sono chiamati i coniugi è la stessa a cui sono chiamati anche i membri della Chiesa. Lo Spirito che fa dei due una sola carne è lo stesso che fa dei membri della Chiesa un solo corpo (cf. Rm 12,4-8). Tutti, pur nella diversità dei carismi che lo Spirito concede loro, sono chiamati a concorrere al “bene comune” (1Cor 12,7), ovvero alla realizzazione della vita ecclesiale.

La straordinarietà di questo segno, come di tutti quelli di cui parla Giovanni nel suo Vangelo[4], sta nella metodologia spirituale operata da Gesù: egli non spazza via l’amore umano, non lo assorbe in quello divino, ma lo trasforma dal di dentro, rivelandogli il suo principio e il suo fine più autentico e vero. Egli non abolisce l’amore umano, ma lo porta a compimento (cf. Mt 5,17-20). La vita nuova alla quale egli dà inizio[5] non è qualcosa di totalmente altro dall’amore umano, ma è lo stesso radicalmente trasfigurato dallo Spirito. La novità sta nell’unire in modo inscindibile le due nature dell’amore: quella divina e quella umana. In altre parole egli inaugura la vita della divinoumanità. Con questo miracolo Gesù sembra tracciare perciò il profilo di quella che potremmo definire la spiritualità della divinoumanità, che tanto i coniugi quanto i membri della Chiesa sono chiamati a intessere nelle loro relazioni quotidiane.

[1] Cf. Os 1-3; Is 54.62; Ger 2-3; Ez 16.23; Mal 2,13-17; Rut, Tobia, Cantico dei Cantici. [2] Cf. Mt 22,1-14; 25,1-13; Lc 14,16-24. [3] Cf. Ef 5,21-33; 2Cor 11,2. [4] La tradizione esegetica riconosce abitualmente la presenza di sette segni che caratterizzano l’attività miracolosa di Gesù, tra questi distingue quello di: Cana (Gv 2,1-11); della guarigione del figlio del funzionario del re (Gv 4, 46-54); della Guarigione alla piscina di Betzatà (Gv 5, 1-16); de La moltiplicazione dei pani e dei pesci (Gv 6, 1-15); della Guarigione del cieco alla piscina di Sìloe (Gv 9, 1-41); de La risurrezione di Lazzaro (Gv 11, 1-44); della Pesca miracolosa (Gv 21,1-14). Nel linguaggio giovanneo la parola “segno” che lui usa per indicare il miracolo, ha uno scopo principalmente provocatorio, teso, cioè, a suscitare delle domande di senso sul suo operato, così che chi l’osserva è mosso a interrogarsi sull’origine, sulla ragione e sulla natura dei suoi segni, al fine di pervenire alla conoscenza della sua identità divina. In questa prospettiva vanno letti anche gli episodi della Cacciata dal Tempio (Gv 2,13-22), di Nicodemo (Gv 3,1-21), della Samaritana (Gv 4,1-42). [5] Che Gesù, con questo episodio, dia origine ad una nuova vita, Giovanni lo lascia intendere chiaramente nei versetti 1 e 11 del suo brano. Al versetto 1 così egli introduce l’episodio: “E il terzo giorno ci furono delle nozze a Cana di Galileia”. Il “terzo giorno”, al quale fa riferimento Giovanni è quello in cui il Signore viene a liberare il suo servo sofferente, ovvero il giorno della risurrezione. In altre parole, per Giovanni, l’episodio di Cana segna l’inizio della Nuova Alleanza, come ribadisce anche al versetto 11: “Questo fece (come) inizio dei segni”. È lo stesso termine che troviamo anche all’inizio del Prologo: “In principio era il Verbo”.

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