top of page

15 Gennaio 2023 - Anno A - II Domenica del Tempo Ordinario


Is 49,3.5-6; Sal 39; 1Cor 1,1-3; Gv 1,29-34


I criteri per riconoscere Dio



ree

“Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua, mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio …Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo!” (Gv 1, 33-34.29). Questa appena letta è la straordinaria “testimonianza di fede” che il Battista rende a Cristo in occasione del suo battesimo. In verità già domenica scorsa abbiamo avuto modo di commentare questo episodio, tuttavia oggi la Chiesa ce lo ripropone nella versione giovannea, non tanto per ritornare sull’evento battesimale, quanto per far luce sui criteri di discernimento con cui il Battista riconosce nell’uomo Gesù il “Figlio di Dio”, “l’Agnello che toglie i peccati del mondo”.

È significativo commentare questo argomento all’inizio del Tempo Ordinario, perché più che mai avvertiamo la necessità di acquisire gli stessi criteri, per praticare compiutamente la fede e soprattutto per discernere la volontà di Dio, spesso misteriosa, nel nostro vissuto quotidiano; specie quando siamo chiamati a compiere scelte conformi alla vita evangelica. L’operazione dunque non è affatto semplice e ne sanno qualcosa coloro che si sforzano di capire, giorno per giorno, la volontà di Dio e conformare la loro vita al suo disegno d’amore. Per addentrarci nell’argomento ci lasceremo guidare da alcune domande: in che modo il Battista è pervenuto alla conoscenza di Cristo? Come e dove ha acquisito i criteri per operare questo discernimento? Queste domande, come vi sarete accorti, le abbiamo già poste domenica scorsa, per cui quello che vi dirò costituisce un ulteriore sviluppo.

Partiamo allora dai versetti nei quali Giovanni dichiara di non conoscere Cristo prima dell’evento battesimale. Per ben due volte egli afferma: “Io non lo conoscevo” (Gv 1, 31.33). Ci stupisce questo aspetto della sua vita. Sappiamo infatti che erano cugini e ci sembra strano che prima di questo episodio i due non avessero mai avuto modo di confrontarsi su simili argomenti. I “Vangeli dell’infanzia” non dicono nulla in merito, se non quell’episodio tanto misterioso quanto emblematico della visita di Maria ad Elisabetta, quando ancora nel grembo della madre, Giovanni “sussultò” al suo primo incontro con Cristo (cf. Lc 1,41). Dopodiché null’altro. Il battesimo si rivela allora come un episodio decisivo. Un evento mistico. Rivelativo per Giovanni prima ancora che per noi. È qui che egli scopre per la prima volta la vera identità del cugino Gesù. Fino ad allora egli la ignorava. Qui, invece, giunge a qualificarlo addirittura con ben due appellativi: “Figlio di Dio” e “Agnello di Dio”. Questa sua scoperta ci incuriosisce e ci fa sorgere ulteriori domande: perché oltre a definirlo “Figlio” lo qualifica anche come “Agnello di Dio”? Cosa aggiunge questo ulteriore titolo all’identità divina di Cristo? Le risposte sembrano essere racchiuse nel verbo “vedere” che anche in questo caso, viene usato per due volte dal Battista. La prima in riferimento al criterio di discernimento: “Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui” (Lc 1,32); la seconda in merito alla testimonianza di fede: “Ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio” (Lc 1,34). Giovanni attesta di “aver visto lo Spirito”, sia pure “nella forma della colomba”. Ma è possibile vedere lo Spirito? Che forse non dovremmo ribadire di lui ciò che l’evangelista Giovanni dice a proposito di Dio che “nessuno l’ha mai visto”? (Gv 1,18). È chiaro dunque che non si tratta di un vedere fisico, bensì spirituale, come sottolinea la nuova traduzione: “Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui (Gv 1,32). Chi mai, infatti può vedere lo Spirito, se non i puri di cuore, come dice Gesù: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8). Lo sguardo puro costituisce allora il “criterio” fondamentale per “vedere” lo Spirito e discernere i “segni” con cui egli si manifesta. Molti furono quelli che videro la colomba, ma solo Giovanni la riconobbe come segno indicativo di Cristo. Ed è interessante notare come questo sguardo venga donato a Giovanni direttamente da Dio: “L’uomo sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo” (Gv 1,33). Assistiamo così ad un mutuo rapporto mistico dove Dio, Cristo e lo Spirito rendono il Battista partecipe della loro relazione rivelativa: Dio gli fa dono dello sguardo per vedere lo Spirito, lo Spirito gli consente di individuare tra la folla Gesù e Gesù gli rivela la sua identità messianica. Un’esperienza spirituale questa attraverso la quale il Battista giunge fino alla testimonianza di fede: “E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio” (Gv 1, 34). Si tratta allora di imparare a vedere gli eventi e le persone con l’occhio di Dio, e di mostrarsi docili all’azione dello Spirito, come ha saputo fare il Battista. È su questa base che egli ha saputo indicarlo ai suoi discepoli come: “L’agnello di Dio, colui che toglie i peccati del mondo!” (Gv 1,29)”. La testimonianza del Battista prevede perciò un vissuto contemplativo, durante il quale egli ha avuto modo di familiarizzare con Dio e col suo linguaggio comunicativo. È qui che egli ha imparato a interpretare i segni con cui lo Spirito si manifesta nella vita. Senza questa esperienza previa di discernimento personale, diventa estremamente difficile giungere alla fede in Cristo.

Giunti a questo punto del commento ci rimane ancora di spiegare perché Gesù viene qualificato dal Battista con l’appellativo dell’“Agnello”. Una definizione apparentemente superflua, eppure il suo significato è estremamente importante, per capire la missione di Gesù. Il termine aramaico “talya” che traduciamo con agnello, ha diversi significati tra i quali quello di “fanciullo”, “servo” e quindi di “agnello”. Con questo termine si allude perciò al “Servo” di Jahvè, il quale nella descrizione che ne fa il profeta Isaia, appare “muto” mentre viene condotto al macello, come a voler sottolineare la sua docilità al sacrificio a cui viene sottoposto (cf. Is 53,7). Nel Nuovo Testamento ritroviamo lo stesso appellativo solo poche volte e precisamente nella prima lettera di Pietro 1,19; e più diffusamente nell’Apocalisse, dove compare per ben ventotto volte. In questi testi il termine Agnello viene sempre riferito a Cristo. Ma è nell’Antico Testamento che comprendiamo le radici del significato teologico del termine, come attestano i libri dell’Esodo 12,1-14; di Isaia 53,7 e di Ger 11,19, dove il termine viene associato alla vittima sacrificale dell’evento pasquale e a quello del servo, preparando in questo modo le basi per la salvezza ottenuta da Cristo, per mezzo dell’offerta libera e volontaria di sé, espressione dell’amore di Dio per l’uomo. Paolo esplicita questo significato salvifico di Cristo nella lettera ai Romani quando dice: “Ciò che era impossibile alla legge … Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne” (Rm 8,3). Nella lettera agli Ebrei, invece, l’argomento viene trattato più diffusamente. Parlando di Cristo l’autore dell’epistola dice: “è impossibile eliminare i peccati con il sangue di tori e di capri. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,4-7).

Si capisce in questa prospettiva teologica anche il senso del Salmo 39 che la Chiesa ci propone quest’oggi, come a volerci offrire la chiave di lettura per comprendere non solo le ragioni che hanno indotto Gesù a compiere quel gesto così estremo di donare la sua vita, ma anche il criterio per discernere la sua messianicità. Durante la sua esistenza storica Cristo non fa che incarnare l’immagine del servo descritto da Isaia, fino a fare di quelle caratteristiche uno stile di vita messianico. “Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria … Il Signore che mi ha plasmato suo servo dal seno materno … mi disse: E’ troppo poco che tu sia mio servo … Io ti renderò luce delle nazioni perché porti la salvezza fino agli estremi confini della terra” (Is 49, 6). Il Salmo traccia il piano salvifico al quale Gesù decide liberamente di aderire con tutto se stesso, convinto che quello fosse l’unico modo per portare a compimento la volontà di Dio: “Ecco io vengo per fare la tua volontà”. “Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è scritta nel profondo del mio cuore” (Sal 39). Gesù trova nella volontà di Dio il senso pieno della sua esistenza. Questa è scritta nel suo DNA. In essa Gesù trova espressi tutti i suoi aneliti più reconditi, le sue istanze più profonde, i suoi ideali più alti. Gesù, dunque, nel fare la volontà di Dio non si limita ad offrire i “sacrifici e gli olocausti” previsti dalla legge, ma fa dono di sé come risposta alla domanda d’amore di Dio, dando prova del suo amore illimitato. Per amore di Dio e dell’uomo egli si spinge oltre ogni limite, fino a dare la sua vita. Non si trattava di pagare un riscatto o restituire un debito, ma di vivere la vita come manifestazione dell’amore suo e di Dio.

Vivere secondo questo stile di vita non è mai idilliaco, perché necessita di un rinnegamento costante di sé, facendo della propria vita un dono per l’altro, per Dio presente in ciascuno di noi. Questo è ciò che distingue lo stile di vita evangelico da quello del mondo. Pertanto decidersi per questo stile di vita significa sottrarsi alla mentalità del mondo, per conformarsi alla volontà dell’amore oblativo di Dio, esattamente come ha fatto Cristo. È vivendo così che l’amore di Dio ci trasfigura, trasfigurandoci ci libera e liberandoci ci salva. Ecco la santità di Cristo dalla quale Paolo è stato attratto e questa è anche quella alla quale ciascuno di noi è chiamato (cf. 1Cor 1,2).


Commenti


© Copyright – Luigi RAZZANO– All rights reserved – tutti i diritti riservati”

  • Facebook
  • Black Icon Instagram
  • Black Icon YouTube
  • logo telegram
bottom of page