15 Agosto 2023 - Anno A - Assunzione della Beata Vergine Maria
- don luigi
- 14 ago 2023
- Tempo di lettura: 7 min
Ap 11,19; 12,1-6. 10; Sal 44; 1Cor 15,20-26; Lc 1,39-56
Maria primizia dei risorti

“Nel cielo apparve un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto … Allora udii una gran voce nel cielo che diceva: Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo” (Ap 12,1-2.10).
Quelli proposti sono i versetti che più si prestano a qualificare la solennità con cui la Chiesa celebra l’Assunzione della Beata Vergine Maria in cielo. In verità noi non disponiamo di dati biblici che attestano questo particolare evento mariano, perché nessun documento neotestamentario parla della sua morte e della modalità con cui è avvenuta[1]. Per questa ragione la Chiesa, sin dalle sue origini, ha interpretato la morte di Maria in termini di dormizio (Chiesa Ortodossa) o, di assumptio[2] (Chiesa Latina), che corrispondono al natalis (morte), ovvero al giorno della nascita al cielo degli altri santi[3]. Con l’uno e con l’altro termine la Chiesa intende riconoscere a Maria il privilegio di essere la prima, dopo Cristo, a sperimentare la risurrezione della carne[4]; realtà che per tutti gli altri credenti avverrà dopo il Giudizio finale. In questo senso essa, come dice Paolo, è la primizia della risurrezione per tutti coloro che muoiono in Cristo (cf. 1Cor 20-21). Essa prefigura quella realtà escatologica in cui Dio sarà tutto in tutti (cf. 1Cor 15,28). Con la sua vita, infatti, Maria traccia l’intera parabola della storia della salvezza, diventando così l’icona dell’umanità redenta da Cristo.
Questa particolare attestazione di fede è l’espressione di una specifica venerazione per Maria, che si è andata sviluppando nella Chiesa sin dalle origini, fino alla solenne proclamazione dogmatica di papa Pio XII, che il 1° novembre del 1950, Anno Santo della redenzione, con la Costituzione apostolica Munificientissimus Deus dichiarò che Maria una volta: “terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo”[5]. Sia pure relativamente recente, questa dichiarazione dogmatica affonda, dunque, le sue radici nella millenaria Tradizione della Chiesa, facendosi interprete di un sentire comune che ne esprime la lode e la riconoscenza, come per altro mette già in evidenza l’evangelista Luca nel Magnificat: “D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Lc 1,48).
Il senso di questa dichiarazione dogmatica diventa più comprensibile se collegato all’altro grande dogma mariano dell’Immacolata Concezione, proclamato da Pio IX, nel dicembre del 1854. In questa ottica, la Madre di Dio, che era stata preservata dalla corruzione del peccato originale, fin dal primo istante del suo concepimento, fu risparmiata anche dalla corruzione del suo corpo immacolato. Pertanto Colei che aveva ospitato il Verbo era perfettamente degna di entrare nel Regno dei Cieli col suo corpo glorioso[6]. Come il dogma dell’Immacolata lascia intendere l’originaria innocenza umana, così quello dell’Assunta prefigura la redenzione finale. In Maria tutti siamo chiamati a sentirci parte integrante della storia della salvezza, destinati a conformarci all’unità di Cristo col Padre.
La liturgia della Parola esprime questa realtà attraverso brani biblici particolarmente significativi, specie come quello dell’Apocalisse, nel quale viene descritta una visione mistica, il cui oggetto è una donna, non specificata nella sua identità nominale. Essa viene descritta come un “segno grandioso nel cielo” (Ap 12,1), abbigliata con un corredo fatto di sole, luna e stelle, che le conferiscono un carattere cosmico. Non è facile comprendere il significato di questa simbologia, ma la vicenda storica di Maria e della Chiesa, alla cui luce può essere riletta l’intera visione, sembrano offrirci delle chiavi di lettura plausibili. In questa prospettiva Maria assume un ruolo particolarmente significativo nel piano salvifico di Dio, non solo per quello che riguarda l’umanità, ma l’intero creato. Lo stato di gravidanza col quale viene descritta la donna, pare infatti preludere quello delle doglie del parto di cui tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi e al suo compimento escatologico (cf. Rm 8,22).
Accanto a questo segno divino ve n’è un altro, opposto al primo, simboleggiato da “enorme drago rosso” (Ap 12,3), descritto con elementi assai preziosi, come “diademi”, ma di natura terrena, che esercitano su quelli celesti un influsso notevole, tanto da farli “precipitare sulla terra” (Ap 12,4). L’enorme drago rosso allude chiaramente al male, in tutta la sua potenza divoratrice, anche quando assume il profilo e la forma del potere politico, assunto dai vari Stati nel corso dei secoli. Esso esercita nel mondo un influsso, la cui vittoria può essere compiuta solo da un intervento divino. Ogni cosa che si sottrae all’azione di Dio, viene coinvolta all’interno di questa potenza vorace che riduce tutto al nulla. Il deserto diventa così lo spettro di questa realtà conflittuale del mondo, nel quale l’uomo viene coinvolto nella sua lotta contro il male; al contempo costituisce un luogo di rifugio per quanti come la donna, malgrado tutto, portano al termine il loro compito: “partorire il figlio maschio”, ovvero continuare nel tempo il processo incarnativo del Verbo, col quale si compie il disegno di Dio: “ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo” (Ap 12,10).
Il linguaggio con cui Giovanni descrive la sua visione è, com’evidente, particolarmente complesso, perché ricco di significati simbolici, che sfuggono alla nostra comprensione. Per questo motivo la sua interpretazione necessita non solo di una profonda familiarità col mistero di Dio, ma anche di una riflessione teologica attenta ed oculata, alla quale non siamo certamente abituati, distratti come siamo da una considerazione molto superficiale della fede. Da qui l’invito, piuttosto impegnativo che sembra provenire da Giovanni, come di chi desidera abituarci a rileggere la nostra storia alla luce del piano sapienziale di Dio, esattamente come si sforza di fare la Chiesa quando, col suo insegnamento, intende orientare il mondo verso il suo compimento escatologico.
Di questa azione divina ciascuno di noi è chiamato a farsi interprete, per incarnare la salvezza nell’oggi della vita sociale e culturale. In questo senso solo chi, come Maria, pronuncia il suo sì, consente a Dio di continuare nella storia il processo redentivo di Cristo. E di farlo secondo una logica che rompe decisamente con quella del mondo. Maria, infatti, nel suo Magnificat prefigura un totale rovesciamento dello status quo del mondo: a livello culturale ella prevede che Dio travolgerà tutti quelle forme di pensiero che proclamano la loro fede nell’autosufficienza umana, e quindi tutti quegli uomini che nutrono pensieri di superbia e di autonoma indipendenza da lui (cf. Lc 1,51). A livello politico, invece, ella preannuncia che Dio capovolgerà quei sistemi governativi che esercitano il loro potere, creando dislivelli economici e sacche di povertà sociale. Per questo egli abbatterà i potenti dai troni e innalzerà gli umili, colmerà di beni i bisognosi e rimanderà i ricchi a mani vuote (cf. Lc 1,52-53).
Una visione che può apparire utopica a quanti sono abituati ad assistere all’esercizio millenario delle varie forme di potere che si sono succedute e si succedono tutt’ora nella storia, espressione di una mentalità culturale che crea continue disfunzioni sociali, politiche e perfino religiose, contro le quali solo una reale e concreta conversione alla logica evangelica può preludere quel regno di Dio proclamato da Cristo e quel destino a cui è chiamato l’intero creato prefigurato da Maria. Pertanto anche noi, come Elisabetta, siamo invitati a riconoscere Maria come colei che più di tutti ha “creduto nell’adempimento della parola del Signore” (Lc1,45). Ecco la beatitudine di coloro che ancora oggi celebrano l’Assunzione della Beata Vergine Maria in cielo.
[1] Il testo antico più attendibile che racconta l’Assunzione di Maria in Cielo è quello del vescovo san Gregorio di Tours (538 ca – 594), storico e agiografo gallo-romano. Prima di allora disponiamo solo di una tradizione orale. Così recita il testo di Gregorio: “Infine, quando la beata vergine, avendo completato il corso della sua esistenza terrena, stava per essere chiamata da questo mondo, tutti gli apostoli, provenienti dalle loro differenti regioni, si riunirono nella sua casa. Quando sentirono che essa stava per lasciare il mondo, vegliarono insieme con lei. Ma ecco che il Signore Gesù venne con i suoi angeli e, presa la sua anima, la consegnò all’Arcangelo Michele e si allontanò. All’alba gli apostoli sollevarono il suo corpo su un giaciglio, lo deposero su un sepolcro e lo custodirono, in attesa della venuta del Signore ed ecco che per la seconda volta il Signore si presentò a loro, ordinò che il sacro corpo fosse preso e portato in paradiso”. [2] I due termini esprimono sostanzialmente la stessa cosa, con la differenza che quello usato dalla Chiesa latina “Assunzione” non implica necessariamente la morte, ma neppure la esclude. [3] Anche la scelta di celebrare questa solennità il 15 agosto, lungi dall’essere quella della sua morte, ricorda invece, quelle delle festività agostane dette anche Augustali, che costituivano un periodo di riposo dopo le grandi fatiche delle settimane precedenti. Per questa ragione tale giorno viene definito anche Ferragosto (dal latino feriae Augusti), a ricordo delle festività istituite dall’imperatore augusto nel XVIII sec. a.C. [4] Lungi dal ritenere la salvezza un dono riservato alle “anime”, l’Assunzione di Maria sottolinea invece che essa riguarda tutto l’uomo, corpo compreso, come del resto afferma la fede cristiana quando parla della risurrezione della carne. [5] Così recita l’intero testo dogmatico: “Pertanto dopo aver innalzato ancora a Dio supplici istanze, e aver invocato la luce dello Spirito di Verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria Vergine la sua speciale benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l’Immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo. Perciò se alcuno, che Dio non voglia, osasse negare o porre in dubbio volontariamente ciò che da Noi è stato definito, sappia che è venuto meno alla fede divina e cattolica”. [6] A fondare questa proclamazione contribuisce anche un testo omiletico di san Germano di Costantinopoli (635 ca – 733), il quale afferma che “Essendo umano (il corpo di Maria) è stato trasformato per adattarsi alla suprema vita dell’immortalità, tuttavia è rimasto integro e gloriosissimo, dotato di perfetta vitalità e non soggetto al sonno (della morte), proprio perché non era possibile che fosse posseduto da un sepolcro, compagno della morte, quel vaso che conteneva Dio e quel tempio vivente della divinità santissima dell’Unigenito … Quel corpo verginale e tutto santo … doveva essere anche estraneo al dissolvimento in polvere … Così fu giusto che anche lei partecipasse della comunanza di vita (di Cristo).




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