14 Novembre 2021 - XXXIII Domenica del Tempo Ordinario Anno B
- don luigi
- 13 nov 2021
- Tempo di lettura: 6 min
Dan 12,1-3; Sal 15/16; Eb 10,11-14.18; Mc 13,24-32
Nell’attesa della venuta di Cristo

“Accresci in noi la fede, ravviva la speranza e rendici operosi nella carità, mentre attendiamo la gloriosa manifestazione del tuo Figlio”. È la preghiera, formulata nella Colletta, con la quale la Chiesa ci predispone a vivere questo scorcio d’anno liturgico, prima della celebrazione dell’Avvento. Fede, speranza e carità sono gli atteggiamenti essenziali che devono caratterizzare la nostra attesa di Cristo, nell’oggi della nostra vita ecclesiale. Tutta l’attenzione, com’è evidente, è volta alla manifestazione di Cristo e al riconoscimento dei segni che ne preannunciano la venuta. I brani biblici che ci vengono proposti hanno, perciò, la funzione di favorire l’acquisizione di quei criteri con cui discernere i tempi e i segni della seconda venuta di Cristo. Tra questi criteri vi è il “linguaggio apocalittico”, che certamente non è né semplice né comune ai nostri metodi comunicativi, e tuttavia rilevante per interpretare tutti quegli eventi che caratterizzeranno il mondo, il cosmo e la storia, alla fine dei tempi.
Ci impressionano sempre questi eventi che la Chiesa ci ricorda, con una frequenza cadenzata, alla fine di ogni anno liturgico. Essa parla di fatti e avvenimenti misteriosi che riguardano il destino ultimo dei singoli individui, del genere umano e persino e dell’universo intero (cf. Mc 13,24-25). Si tratta di eventi nei quali ciascuno è chiamato a rendere conto della propria condotta morale e delle proprie scelte di vita esistenziali (cf. Mc 13,26-27). Tuttavia lo fa con un “linguaggio escatologico e apocalittico” che esula in gran parte dalla nostra mentalità, abituata ad un sapere scientifico che ha pressoché sradicato, dalla nostra memoria spirituale, quella sensibilità simbolica, con cui la Bibbia è solita parlare del futuro del mondo. Da qui l’esigenza da far luce sul significato di quei simboli e vocaboli che lo caratterizzano. Per ora ci limitiamo ai termini “escatologia” (dal greco éscatos “ultimo” e lógos “discorso”), che significa “discorso intorno alle cose ultime”; e “apocalisse” (dal greco apo “da” e kálypto “nascosto”), che significa “togliere il velo”, letteralmente “svelare”, con i quali, tra l’altro, essa formula la sua visione unitaria e universale della storia, intesa non tanto come una successione di eventi casuali e neppure di fatti che trovano solo nelle scelte umane il loro senso, ma come il dipanarsi misterioso di un piano salvifico di Dio che orienta, dà senso, pienezza e compimento agli eventi umani e cosmici.
Questo modo d’intendere la storia necessita di un approccio particolare, che consiste nell’interpretare gli eventi dal punto di vista di Dio. Un approccio che è possibile acquisire attraverso la comprensione della Parola di Dio, intesa come Verbo (ragione divina) che dà senso alle cose, fuori del quale tutti gli eventi, come lo stesso linguaggio che li descrive, risultano praticamente incomprensibili e privi di senso. San Giovanni e san Paolo ci parlano di questo Verbo, in termini di Cristo, come di Colui per mezzo del quale e in vista del quale tutto è stato fatto di ciò che esiste (cf. Gv 1,3.10; Eb 1,2; Col 1,16; 1Cor 8,6). Non a caso, nell’ultima domenica del tempo Ordinario, la Chiesa ci fa celebrare la solennità di Cristo Re dell’Universo.
Nell’attuale contesto culturale e sociale, questo tipo di linguaggio, ci appare spesso fuori luogo, o riservato solo a pochi specialisti. Anche in ambito ecclesiale tendiamo a relegare in un futuro molto remoto questi eventi, distogliendone l’attenzione nel presente, come se non riguardassero la nostra vita di fede. Non mancano, tuttavia, nell’uno e nell’atro ambito forme di interesse o di ambigua curiosità intorno ad essi, come attesta una certa letteratura cinematografica, dalla quale, a dire il vero, ne emerge una visione alquanto distorta. La curiosità, ad ogni modo, più che verso il linguaggio apocalittico, riguarda soprattutto i “tempi” e “modi” con cui questi eventi dovrebbero manifestarsi. Ed è interessante notare che tale curiosità non riguarda solo noi, ma anche le generazioni che si sono susseguite nel corso della storia e perfino quella degli apostoli, i quali, come preoccupati di un eventuale esito imprevisto della loro vita, chiedono a Gesù: “Dicci quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo” (Mt 24,3). A questa domanda che noi prendiamo dall’evangelista Matteo, e che Marco pone nel contesto della distruzione del tempio (Mc 13,4), Gesù risponde in modo sorprendente, quasi da lasciarci spiazzati e perplessi: “Quanto a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre” (Mc 13,32). Come a voler farci intendere che il “come” e il “quando” sono aspetti secondari, rispetto alla necessaria capacità di discernimento. Da qui la sua attenzione volta al riconoscimento dei segni: “Quando il ramo del fico diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli (Cristo) è vicino, è alle porte” (Mc 13,28-29).
Spostando l’attenzione sui segni e sulla loro interpretazione, cominciamo a capire che il linguaggio apocalittico non intende darci un’esatta informazione scientifica, nel senso moderno del termine, del tempo preciso in cui tali eventi accadranno, ma dirci che essi sono estremamente significativi ai fini della storia, e ricordarci che la storia, al di là delle ineludibili scelte umane, è misteriosamente condotta da Dio verso un Giudizio Universale. Già, perché l’Apocalisse di cui parlano questi brani liturgici, e al quale Giovanni riserva un libro particolare, è prima di ogni altra cosa, un evento rivelativo, attraverso il quale ciascuno, in modo inequivocabile e inconfutabile, avrà la possibilità di prendere coscienza del senso e dell’esito della propria esistenza. Il profeta Daniele ci dice che “in quel tempo … molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna” (Dn 12,2). Un aspetto questo che verrà ripreso e ribadito anche da Gesù: “Non vi meravigliate di questo, perché verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita, quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” (Gv 5,28-29). In altre parole la risurrezione, preannunciata dall’Apocalisse, è un evento che riguarderà tutti, ma non per tutti avrà lo stesso esito. L’una o l’altra possibilità dipenderà dalla nostra relazione con Cristo, termine ultimo di riferimento della Verità, con la quale ciascuno dovrà inevitabilmente confrontarsi. “Come” e “quando” tutto ciò accadrà, ci rimane oscuro. Da qui la necessità della fede, della speranza e della carità come atteggiamenti fondamentali con cui noi siamo chiamati a vivere l’oggi della nostra vita, durante il quale la Chiesa ci invita ripetutamente ad acquisire l’arte del discernimento, per ben interpretare tali eventi al momento opportuno.
La necessità del discernimento è dovuta alla duplice valenza di cui questi eventi saranno suscettibili. Infatti, per quanti dispongono solo di una visione terrena e immanente della storia, essi saranno considerati nella loro evidenza catastrofica, drammatica e angosciante; per quanti, invece, si sforzano di interpretarla alla luce del piano salvifico di Dio, essi verranno interpretati come segni dell’imminente venuta di Cristo: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21,28). Discernere comporta allora il compito di saper cogliere negli eventi della storia la presenza operante di Dio e l’approssimarsi della sua venuta. Gesù, con l’esempio parabolico del fico, ci vuole come suggerire un modo per acquisire questo metodo di discernimento, quale può essere quello di osservare attentamente i cambiamenti della natura: come i primi germogli del fico ci fanno capire che l’estate è vicina, allo stesso modo dovremmo capire che, quando cominceranno ad accadere queste cose, la venuta di Cristo è imminente. Questa capacità di discernimento può risultare irrilevante, per molti di noi, invece, vissuta nel quotidiano può comportare enormi conseguenze: una stessa esperienza dolorosa, per esempio, può rivelarsi per alcuni motivo di angoscia e disperazione, per altri può diventare l’occasione di un rinnovamento interiore. La stessa esperienza di morte può essere intesa da alcuni come il totale disfacimento della vita, per altri invece come la condizione per accedere all’eternità (cf. Sal 15/16). L’una o l’altra possibilità dipende dal senso che attribuiamo agli eventi, alle circostanze, alle relazioni. E il senso non dipende solo dalla nostra intelligenza, ma anche dalla nostra relazione con Dio. La sofferenza che molto spesso sperimentiamo in certe situazioni, non nasce solo dal dolore fisico, psicologico o spirituale, ma dalla mancata capacità di dare senso alle cose. A livello religioso un simile discernimento può abituare le persone a riconoscere la misteriosa presenza dello Spirito nella vita quotidiana, che guida la storia verso la definitiva manifestazione di Cristo. Questa è la verità di fede che dà speranza a chi crede, come attestano le parole di Gesù: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mc 13,31). A noi decidere la qualità e l’esito della nostra vita.




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