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14 Febbraio 2021 - 6° Domenica del Tempo Ordinario Anno B


Lv 13,1-2.45-46; Sal 31/32; 1Cor 10,31-11,1; Mc 1,40-45


“Se vuoi, puoi purificarmi!”




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Dopo l’esorcismo compiuto nella sinagoga (cf. Mc 1,23-28) e la guarigione della suocera di Pietro (cf. Mc 1,29-31), Marco ci presenta un altro miracolo compiuto da Gesù: la guarigione del lebbroso (cf. Mc 1,40-45). Si potrebbe pensare che l’evangelista ci racconti questi prodigi per evidenziare la potenza taumaturgica di Gesù, in realtà per Marco i miracoli hanno una funzione ben precisa: rivelare l’identità divina di Gesù. Per questa ragione essi sono strettamente legati a quello che gli studiosi definiscono il “segreto messianico” di Marco. Si tratta di un mistero che il discepolo di Cristo è chiamato a svelare nella misura in cui si lascia coinvolgere personalmente dal suo Vangelo. Al pari di ogni discepolo anche il lettore è chiamato a porsi alla sequela di Cristo, seguendo le stesse condizioni che Gesù chiede ad ogni suo discepolo (cf. Mc 8,34-38; Mt 17,24-28; Lc 14,25-33). In questo modo il Vangelo si dispiega davanti a lui come un autentico cammino di fede. Credere, allora, non è solo un atto di fiducia e di sequela, ma comporta lo svelamento del mistero di Cristo. Esso non consiste solo nel dare una definizione chiara e precisa della sua identità, come fanno i demoni (cf. Mc 1,24), ma significa aderire alla logica rivelativa di Cristo, condividere, cioè, la sua stessa “via della croce”. Solo a queste condizioni la conoscenza della verità rende veramente liberi (cf. Gv 8, 32). Diversamente essa si riduce ad una formula razionale e astratta che nulla ha a che vedere con la Vita. Annunciare il Vangelo significa allora non solo dire la Verità, ma dirla con lo stesso stile evangelico di Cristo. È qui l’efficacia della sua metodologia rivelativa. La croce diventa così il criterio di discernimento per riconoscere la verità messianica di Gesù. Tutte le altre forme di messianismo generano solo inganni politici e malintesi culturali. Gesù non è un eroe nazionale, e neppure un capo che vuole guidare Israele a dominare il mondo, come si aspettava il popolo. La sua messianicità è di tutt’altra natura. Essa viene emblematicamente descritta da Luca attraverso il passo di Isaia che Gesù legge nella sinagoga di Nazareth, all’inizio della sua attività pubblica: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e a proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4, 18-19). In questa prospettiva i miracoli costituiscono “segni” che rivelano non solo la presenza operante di Dio in lui, ma attestano anche la sua reale e concreta condivisione della compassione di Dio per la condizione umana. Fuori da questa prospettiva i miracoli rischiano solo di originare equivoci. Perciò essi non vanno ostentati, ma compiuti con discrezione, secondo la logica del granello di senape (Mc 4,30-32). È questa la modalità con cui il Regno si svela, cresce e si diffonde nel mondo. Da qui il severo monito di Gesù a divulgarli (cf. Mc 1,25.34.43).

Questa metodologia rivelativa del Regno riflette quella della sua identità messianica: egli si rivela solo a quanti si dispongono ad accoglierlo nella stessa ottica rivelativa. È questo lo stile col quale anche noi siamo chiamati ad annunciare il Vangelo: non si tratta solo di dire Cristo, ma di aderire soprattutto alla logica salvifica della sua croce. La croce perciò è il criterio distintivo di ogni autentico annuncio evangelico. Fuori da questa logica il Vangelo rischia di diventare una forma di potere o di ridursi solo una tradizione religiosa e culturale.

Con la guarigione del lebbroso Gesù opera una svolta nella sua vita pubblica: prende chiaramente posizione critica nei confronti della Legge. Mosè, stando alle prescrizioni del Levitico 13, 1-17, prevedeva che chiunque venisse contagiato dalla lebbra, aveva l’obbligo di presentarsi al sacerdote, il quale una volta attestato il contagio, era tenuto ad allontanare il lebbroso dalla comunità. La lebbra era considerata tra le più gravi malattie del tempo, dalla quale era difficile guarire: gli unici casi di guarigione, attestati nell’AT, sono quelli Maria: la sorella di Mosé (cf. Nm 12,10-15) e di Naaman il Siro, capo dell’esercito del re di Aram (cf. 2Re 5,1-14). Il libro di Giobbe la definisce l’anticamera della morte e rende il lebbroso come “il primogenito tra i morti” (cf. 18,13). La sua gravità, secondo la tradizione teologica della “teoria retributiva” era strettamente legata a quella del peccato commesso. Maggiore era la malattia più grave era il peccato. Pertanto chiunque ne veniva colpito era considerato impuro, ovvero non adatto al culto e alla vita della comunità. Da qui la ragione della sua esclusione dalla vita religiosa e sociale. Di conseguenza chiunque entrava in contatto con il lebbroso veniva considerato impuro; lo stesso valeva per qualunque cosa che egli toccava. La purificazione prevedeva un rituale che solo il sacerdote era tenuto a svolgere, al termine del quale se egli attestava che i segni dell’impurità erano scomparsi, l’impuro poteva essere reintrodotto nella comunità (cf. Lv 14,1-32).

È chiaro che i provvedimenti mosaici sono determinati anche da uno scopo precauzionale, teso a salvaguardare il bene della comunità. In un contesto privo di terapie mediche, l’esclusione costituiva l’unico modo per combatterla. D’altra parte è anche vero che, prima del vaccino, l’isolamento è tutt’ora un’insostituibile precauzione contro tutte le forme di contagio epidemico. Ciò malgrado i pregiudizi culturali che esso genera nelle persone, rimangono difficili da guarire. Come allora anche oggi essi costituiscono una forma di profonda discriminazione religiosa e culturale contro i quali lo stesso Gesù ha potuto poco e nulla. Il suo gesto pertanto più che una trasgressione della legge è una denuncia che muove contro il formalismo delle pratiche farisaiche di tutti i tempi. Per lui infatti l’impurità non dipende dalla malattia – chiunque, infatti, suo malgrado, può esserne contagiato – ma da una scelta morale. Più che le cose è il cuore e la mente che bisogna purificare. È qui che le persone ordiscono il peccato in tutte le sue manifestazioni. Contro questa forma di lebbra nessuna prescrizione mosaica garantisce la salvezza. Essa può giungere solo attraverso la fede in Cristo: “Se vuoi, puoi purificarmi!” (Mc 1,40), chiede il lebbroso, supplicandolo in ginocchio. Agli occhi di Gesù il lebbroso non è un peccatore, ma solo un malato che necessita di essere guarito. Pertanto la sua guarigione non consiste solo in quella fisica, ma nell’essere reintrodotto nella comunione con Dio. Ecco lo scopo della missione di Gesù. È qui che il “segreto messianico” comincia a svelarsi. Qui il segreto di ogni sua autentica proclamazione nel mondo, come testimonia l’entusiasmo[1] con cui il lebbroso proclama l’esperienza della sua salvezza. Solo chi come lui è letteralmente invaso da Dio può proclamarne le opere.


[1] Il termine entusiasmo deriva dal greco antico, ed è una parola composta da en (in) theós (Dio) e ousia (essenza). Letteralmente significa: con Dio dentro di sé, essere posseduto da all’essenza di Dio.

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