14 Dicembre 2025 - Anno A - III Domenica di Avvento
- don luigi
- 2 giorni fa
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Is 35,1-6.8.10; Sal 145; Gc 5,7-10; Mt 11,2-1
L’attesa di Cristo tra gioia e dubbio
“Dite agli smarriti di cuore: Coraggio! Non temete! Ecco il vostro Dio … viene a salvarvi. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto”(Is 35,4-5).

Sono i versetti con i quali Isaia annuncia al popolo d’Israele la salvezza di Dio, prossima a manifestarsi dopo la prolungata esperienza dell’esilio babilonese. Un annuncio che riaccende nel cuore degli Israeliti, sfiduciati e abbandonati, la speranza del definitivo ritorno in patria e soprattutto quella di un ritrovato e tanto atteso intervento divino.
Riletta nel contesto dell’Avvento questa profezia di Isaia ci offre la possibilità di motivare e fondare la speranza dell’attesa di Cristo nell’oggi della nostra fede. Anche noi, in certo qual modo, ci ritroviamo, come gli Israeliti, in attesa della manifestazione gloriosa di Cristo e della sua opera salvifica; e anche noi, come Isaia, proviamo gioia quando percepiamo i segni della sua presenza nella nostra vita. Si spiega così la ragione per cui la terza Domenica di Avvento è detta Gaudete, ovvero, Gioite! Ci sembrano perciò molto significative le parole di Paolo ai Filippesi: “Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi … Il Signore è vicino!” (Fil 4,4-5).
La conferma della fedeltà di Dio alla sua promessa salvifica non ci dispensa, tuttavia, dall’esperienza del “dubbio”, che può attraversarci quando prendiamo atto del modo diverso con cui egli può manifestarsi nella nostra vita rispetto alle nostre attese, come nel caso del Battista. Ci lascia perplessi infatti la sua domanda: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?” (Mt 11,3). La domanda suona ancora più sconvolgente se pensiamo che solo qualche tempo prima, e precisamente durante il battesimo, si era rivolto agli astanti qualificando Gesù con queste parole: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo” (Gv 1,29), riconoscendolo come il Messia atteso.
Gioia e dubbio si profilano allora come gli atteggiamenti contrastanti che possono caratterizzare la nostra attesa di Cristo. Essi si manifestano più o meno acutamente, a seconda della percezione che abbiamo della sua attesa. In realtà, finché rimaniamo in questa esistenza, tali atteggiamenti coesisteranno sempre: “C’è un tempo per ogni cosa”, dice Qoelet: “Un tempo per piangere e un tempo per ridere … un tempo per cercare e un tempo per perdere” (Qo 3,4.6); e noi potremmo continuare dicendo: … un tempo per gioire e un tempo per dubitare. Isaia e il Battista diventano così i nostri profeti di riferimento durante questo tempo di Avvento. A loro ci rivolgiamo per imparare a riconoscere i segni della gioia e il modo di come superare i dubbi.
La gioia è certamente un ottimo deterrente per fronteggiare il senso di frustrazione e abbattimento spirituale che ci può attraversare quando prendiamo atto della nostra scarsa capacità di interpretare la realtà sociale alla luce del piano salvifico di Dio, specie dinanzi alla prolungata attesa di Cristo a causa del suo apparente ritardo. Isaia col suo sguardo profetico ci insegna a guardare dentro gli eventi della storia e a trovare in essi i segni dell’invisibile azione dello Spirito, esattamente come fa Gesù col Battista, quando questi dubita della sua reale identità messianica. Le opere, le parole e soprattutto i comportamenti assunti da Gesù nei confronti della gente, erano ben diversi rispetto a quelli immaginati dal Battista. Abituato com’era ad una vita morale rigorosa e a una spiritualità austera, il Battista aveva concentrato il suo annuncio messianico sulla durezza del giudizio divino, come attesta la sua predicazione pubblica, della quale, per altro, abbiamo parlato domenica scorsa: “Razza di vipere chi vi ha suggerito di sottrarvi all’ira imminente? … Già la scure è posta alla radice degli alberi” (Mt 3,7.10); “Fate perciò frutti degni di conversione” (Mt 3,8). Le notizie su Gesù che gli giungono nel carcere contrastano con la sua idea messianica. Egli s’aspettava un Messia dai tratti severi; un giudice inflessibile e esigente. Gesù invece rivela il volto di un Dio paterno, misericordioso e compassionevole. Nessuna scure tra le mani e neppure parole di condanna sulla sua bocca. Nella sua visione Cristo vede il giudizio divino non come un atto di condanna del peccatore, ma come la manifestazione dell’intenzione salvifica per i poveri in spirito. Anche le relazioni che Gesù stringe con la gente contrastano nettamente con la sua pedagogia ascetica: il Battista “non mangia e non beve”, Gesù invece “mangia e beve” (cf. Mt 11,18-19); partecipa alle feste di nozze (cf. Gv 2,1-11), e persino ai banchetti dei peccatori (cf. Lc 5,29). Nessun segno messianico dunque che corrispondesse alle sue attese, anzi il profilo che ne rivela Gesù lo delude profondamente. Da qui l’impellente esigenza di capire chi fosse realmente Gesù. Ai discepoli inviati per sciogliere i suoi dubbi Gesù dà la seguente risposta: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: “I ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi guariscono, i sordi sentono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il vangelo” (Mt 11, 4-5), offre cioè una serie di segni, comprensibili solo a chi, come Giovanni, disponeva di uno sguardo profetico. I miracoli che Gesù elenca, infatti, sono i segni del Messia escatologico, che il Battista aveva già imparato a riconoscere da Isaia, come segni che ne preannunciavano la venuta (cf. Is 35,5-7; Lc 4,18-19).
Il dubbio del Battista ci interpella e ci invita a riflettere. Anche noi, infatti, spesso corriamo il rischio di farci un’idea diversa di Cristo e della sua opera salvifica, o perfino di alterare le verità della fede in lui a causa dei pregiudizi che provengono dalla cultura nichilista. Il suo comportamento ci ricorda che lungi dal prospettarsi serena e tranquilla, anche la nostra attesa di Cristo può essere attraversata da dubbi, specie quando viene disillusa da certe persone o avvenimenti scandalosi. Si capisce perciò l’invito alla “pazienza”, raccomandato da Giacomo alla sua comunità: “Siate pazienti fino alla venuta del Signore” (Gc 5,7). Le attese, infatti, quando vengono disilluse rischiano di generare insofferenza, tristezza, nervosismo e perfino rabbia. Diventa prezioso perciò l’esempio che fa Giacomo: “Guardate l’agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d’autunno e le piogge di primavera” (Gc 5,7). Non basta limitarci a manifestare verbalmente la fede, ma occorre anche coltivarla per raccoglierne i frutti. E ciò comporta conoscere i tempi e le stagioni, le diverse temperature climatiche per favorirla, i concimi adatti per coltivarla, le tecniche di potatura per irrobustirla, nonché i parassiti che possono infettarla. Per tutte queste operazioni più che mai si rivela fondamentale la pazienza, specie per noi che siamo abituati alla frenesia e alla smania di avere tutto e subito, nel qui ed ora. La pazienza invece è l’arte dell’attesa, quella che ci aiuta a dilatare nel tempo l’azione misericordiosa di Dio; a saperne attendere i tempi, o meglio, ad entrare nei tempi di Dio, poiché solo lui sa di cosa abbiamo veramente bisogno. La pazienza ci insegna a non lamentarci o scoraggiarci quando i tempi di Dio si rivelano più lunghi del previsto, come ricorda l’apostolo Pietro a coloro che si erano lasciati prendere dallo sconforto, per aver messo in dubbio la realizzazione della promessa di Dio: “Dov’è la promessa della sua venuta? Perché dal giorno in cui i padri si sono addormentati, tutte le cose continuano come dal principio della creazione” (2Pt 3,4). A costoro Pietro ricorda che “per il Signore un giorno è come mille anni e mille anni sono come un giorno. Il Signore non ritarda l’adempimento della sua promessa, come ritengono alcuni, ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento” (2Pt 3,9-9).
Recuperare l’esercizio della pazienza ci aiuta a riscoprire anche le radici dell’attesa cristiana, come ci ricorda anche il significato etimologico del termine. Pazienza deriva infatti dal latino patire che significa sopportare, soffrire, tollerare. Paziente è colui che sopporta una situazione avversa, sfavorevole, provocatoria, rinunciando alla reazione istintiva che ne deriva. In ambito medico il paziente è colui che soffre una patologia senza lamentarsi; mentre in quello religioso è colui che contrasta i sentimenti di angoscia, di depressione, di amarezza che possono essere causati dai dolori fisici, psicologici, relazionali, dalle crisi morali o spirituali. Il paziente diventa così colui che offre motivi per rafforzare la volontà di operare il bene. In questo senso le esortazioni di san Giacomo: “Siate pazienti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina” (Gc 5,8); “prendete a modello di sopportazione e di pazienza i profeti che parlano nel nome del Signore … perché il Signore è ricco di misericordia e di compassione” (Gc 5,10-11), si rivelano particolarmente significative e pertinenti.
A conclusione di questo commento possiamo dire che ogni autore incontrato in questi brani biblici ci aiuta a vivere con maggiore coscienza e responsabilità il tempo dell’Avvento. Isaia ci insegna a cogliere i segni della gioia nelle circostanze dolorose della vita e a “Irrobustite le mani fiacche … a rendete salde le ginocchia vacillanti … a dire agli smarriti di cuore: coraggio, nontemete …”; il Battista ci insegna l’umiltà di lasciarsi correggere le proprie previsioni e sciogliere i dubbi da Gesù; l’apostolo Giacomo ci esorta ad essere “pazienti … costanti … a rinfrancarsi … a non lamentarsi … a sopportare”. Sono atteggiamenti questi che chiunque può sperimentare nella propria vita, quando l’attesa si prolunga oltre ogni misura. Tutti questi autori sembrano concordi nell’invitarci ad una rinnovata coscienza dell’attesa del Signore, ormai vicino. Ecco le ragioni che giustificano la nostra gioia, perciò è bello ribadire ancora una volta la stessa esortazione di Paolo ai Filippesi: “Rallegratevi … siate lieti, ve lo ripeto rallegratevi … (perché) Il Signore è vicino!” (cf. Fil 4,4-5).
