13 Novembre 2022 - Anno C - XXXIII Domenica del Tempo Ordinario
- don luigi
- 12 nov 2022
- Tempo di lettura: 8 min
Ml 3,19-20; Sal 97/98; 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19
“Quando accadranno queste cose e quale sarà il segno che stanno per accadere?”

“Maestro, quando accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse stanno per accadere?” (Lc 21,7) è la domanda che “alcuni” pongono a Gesù quando sentendolo proferire parole sulla “distruzione del tempio”, cercano di capire i segni che ne preannunciano l’evento. L’evangelista Luca ci riferisce una domanda molto simile già nel capitolo 17, dove però l’argomento in questione è relativo al “regno di Dio”: “Quando verrà il regno di Dio” (Lc 17,20) gli domandano i farisei. E anche in quella circostanza Gesù dà una risposta simile a quella del brano di oggi: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione e nessuno dirà: ‘Eccolo qui’, oppure ‘Eccolo là’. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi” (Lc 17,20-21). In realtà anche nel nostro brano Gesù fa riferimento al “regno”, ma l’attenzione viene spostata più sulla sua persona messianica: “Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: ‘Sono io’, e ‘Il tempo è vicino’. Non andate indietro a loro!” (Lc 21,8).
Considerando questi due brani evangelici prendiamo atto che gli interlocutori di Gesù manifestano l’esigenza di conoscere i “segni dei tempi”[1]. La loro preoccupazione tuttavia non sembra ridursi solo a una questione temporale: “Quando accadranno queste cose?” o “Quando verrà il regno di Dio?”, ma riguardare soprattutto quella interpretativa: “Quale sarà il segno?” ovvero: come faremo a capire che tali “eventi” saranno “segni” dell’imminente venuta di Cristo? Il problema dunque verte intorno alla capacità di comprendere e spiegare il senso dei “segni” poiché, a quanto pare, in quelle circostanze non tutti saranno nella condizione di riconoscerli come tali, specie se consideriamo la “terribile crisi spirituale” che caratterizzerà quei tempi, che come dice il profeta Gioele, saranno: “giorni di tenebra e di caligine, giorni di nube e di oscurità” (Gl 2,2); resi ancora più gravi e drammatici dalla presenza di coloro che cercheranno di ingannare e fuorviare i credenti, spacciandosi per messia, come afferma lo stesso Gesù: “Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: ‘Sono io’, e ‘Il tempo è vicino’. Non andate indietro a loro! Non vi lasciate ingannare”.
A quanto pare, dunque, dopo i primi segnali delle domeniche scorse il tema escatologico si fa più esplicito: “Ecco, sta per venire il giorno” dice il profeta Malachia 3,19, nel brano della prima lettura. Anche il Salmo evidenzia a suo modo questa venuta, sebbene lo faccia con un linguaggio poetico in cui tutta la natura sembra partecipare dell’imminente manifestazione del Signore: “Risuoni il mare e quanto racchiude / … i fiumi battano le mani, / esultino insieme le montagne / davanti al Signore che viene a giudicare la terra” (Sal 97,7-9).
Senza scadere in quei facili allarmismi, tipici di coloro che ad ogni tornante della storia, annunciano come imminente la fine del mondo, vorremmo invece capire come acquisire i criteri che consentono di discernere e interpretare i “segni dei tempi”. Questa esigenza diventa ancora più impellente se consideriamo alcune situazioni tipiche dei nostri tempi, come il pluralismo religioso o il relativismo culturale che rendono ancora più impegnativa l’acquisizione di una visione unitaria e divina della realtà, fino a condizionare o confondere quel cosiddetto “buon senso” proveniente dalla fede dei credenti (ovvero sensus fidei - senso della fede). In realtà ogni epoca storica potrebbe rivelarsi decisiva per la venuta del Cristo, da qui la necessaria acquisizione di questi criteri, se non altro per evitare di farci scoprire impreparati alla sua venuta, come accade alle cinque vergini stolte nella Parabola delle dieci vergini (Mt 25,1-13). Il che significa che non basta la semplice professione verbale di fede. Per riconoscere Cristo e accoglierlo nel buio della notte occorre una fede “intelligente” e “luminosa”, vissuta in modo sapienziale. Egli, infatti, verrà nel tempo e nel modo in cui nessuno se lo aspetta, “come un ladro” (1Tes 5,2; 2Pt 3,10; Mt 24,43), o “come un lampo che guizza da un capo all’altro del cielo” (cf. Lc 17,24).
Come acquisire questa capacità interpretativa e discernitiva? È la domanda che interpella i cristiani di tutti i tempi, specie quelli che avvertono maggiormente l’esigenza di vivere la fede in quello spirito di “avvento” descritto nelle parabole dell’attesa (cf. p.e. quella delle Dieci vergini - Mt 25,1-13). Naturalmente non si tratta di criteri scientifici e matematici, come quelli che vengono applicati nei laboratori per verificare la vericità di un fenomeno naturale o empirico, ma di criteri, per così dire ‘evangelici’, nel senso che scaturiscono da quel vissuto relazionale con Cristo che consente di partecipare della sua familiarità con la sapienza del Padre. Si tratta allora di assimilare il suo modo pensare, di amare, di osservare la realtà, di vivere la fede per imparare a leggere la storia personale e comunitaria alla luce del piano rivelativo e salvifico di Dio. Uno sguardo profetico, dunque, che ci educhi a interpretare la storia non come una somma di fatti dislogati tra loro che accadono più o meno casualmente, ma come “segni” collegati da quel misterioso filo d’oro qual è la sua Sapienza, che ne dischiude l’economia salvifica nel tempo. È all’interno di questo sguardo che diviene comprensibile anche la dimensione escatologica[2] e apocalittica[3], tipica di brani biblici di questo tempo liturgico. Così se lo sguardo profetico ci insegna a vedere gli eventi della storia con l’occhio di Dio, quello escatologico ci abitua a coglierne il loro compimento nella fine dei tempi, mentre quello apocalittico a proiettarli oltre la storia, ovvero in quella realtà divina e gloriosa preannunciata dalla risurrezione di Cristo, nella quale tutta la storia trova senso e compimento.
L’acquisizione di questo triplice sguardo profetico, escatologico e apocalittico sembra aiutarci a cogliere più in profondità il senso di questa liturgia della Parola piuttosto impegnativa che, come abbiamo già accennato all’inizio del commento, ruota non tanto intorno alla questione temporale, quanto piuttosto a quella interpretativa: “Come riconoscere Cristo nei segni storici e cosmici che ne preannunciano la venuta?”. Forse a qualcuno questa esigenza potrà risultare superflua o fuori luogo perché i tempi escatologici sull’onda di un comune sentito dire, vengono solitamente immaginati ancora molto lontani, ma evidentemente i criteri che Gesù si procura di consegnare ai suoi discepoli non riguardano solo le generazioni future. Da qui l’esigenza di capire cosa comporta la loro acquisizione nell’oggi della nostra fede. Per farlo cercheremo di vedere il risvolto pratico dell’insegnamento di Gesù.
A chi, nel brano evangelico, gli fa notare l’aspetto estetico del tempio e il suo carattere votivo egli risponde: “Verranno giorni nei quali, di tutto quello che ammirate non resterà pietra su pietra che non venga distrutta” (Lc 21, 6). Una risposta sconcertante e scoraggiante per coloro che riducono la vita religiosa solo a una esteriorità cultuale, fatta di ritualità liturgica formale e priva di fede, guarnita di elementi umani e terreni come templi, chiese, paramenti liturgici, gradi gerarchici e quant’altro, ai quali viene riconosciuto una valenza sacrale, quando invece sono destinati a scomparire. Nulla, neppure i suoi doni più sacri, possono essere sostituiti o confusi con Dio. Solo lui rimane e ciò che viene compiuto nella volontà del suo amore.
Anche alla domanda su: “Quando accadranno queste cose?”. Gesù dà una risposta con la quale sembra voler distogliere i suoi discepoli dalla drammatica preoccupazione che li attraversa nel dover fronteggiare i disordini naturali, storici e cosmici ai quali andranno inevitabilmente incontro, per chiedere loro invece di assumere un atteggiamento mite, fiducioso incentrato più sull’imminente opera salvifica di Dio, che non sulla tragicità degli eventi, come recita il versetto alleluiatico: “Quando cominceranno ad accader queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21,28). Egli sembra rincuorarli e incoraggiarli perfino dinanzi alle persecuzioni che immancabilmente si scateneranno contro di loro, poiché sarà proprio in quelle circostanze che essi avranno modo di rendere testimonianza della fede in lui (cf. Lc 21,12-13). “Sarete traditi perfino dai vostri genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici … odiati da tutti a causa mia”. Ma neppure in quegli avvenimenti essi saranno abbandonati, anzi “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto” (Lc 21, 16-17). E quando tutto sembrerà incrudelirsi e accanirsi contro di loro “Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa” (Lc 21,14), poiché “Io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere” (Lc 21,15). E cosa più sapienziale di questo sguardo di fede che abbiamo cercato di tratteggiare fino ad ora? Invochiamo allora lo Spirito di sapienza affinché ci dia la grazia di perseverare nelle prove della vita, come ci suggerisce lo stesso Gesù: “Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc 21,19). Un ulteriore invito il suo a rimanere saldi, sereni e fiduciosi nei momenti di difficoltà, ribadito anche il Salmo 117: “Il Signore è con me non ho timore; / che cosa può farmi l’uomo? / Il Signore è con me, è mio aiuto, / sfiderò i miei nemici / … Tutti i popoli mi hanno circondato, ma nel nome del Signore li ho sconfitti … / Mi hanno circondato come api, come fuoco che divampa tra le spine, ma nel nome del Signore li ho sconfitti” (Sal 117, 6-7.10.12).
[1] A livello biblico il “segno” è ciò che manifesta la presenza operante di Dio nella storia dell’uomo. In questo senso ogni evento naturale, fatto sociale e storico, o avvenimento cosmico che accade nella realtà, può manifestare Dio o essere letto come un’espressione della sua volontà. Una sorta di impronta, traccia, cifra che evoca un significato spirituale e divino più profondo e complesso rispetto a quello dell’evento stesso. In questo senso non tutti gli eventi naturali e fatti storici possono essere considerati “segni”, ma solo quelli contribuiscono a manifestare il piano salvifico di Dio. Gesù ricorre spesso a questa categoria per favorire nei suoi interlocutori la difficile comprensione del mistero del regno, come quando si avvale degli eventi atmosferici per alludere al suo arrivo imminente. Un esempio di questo genere lo possiamo trovare nel Vangelo di Matteo 16,1-4. Per l’evangelista Giovanni anche i miracoli, anzi, soprattutto questi, vengono interpretati come “segni” che autentificano la divinità di Gesù. [2] “Escatologia” - dal greco escatos = ultimo e logos = discorso - letteralmente “discorso intorno alle cose ultime”. Più a livello teologico è la dottrina sul destino ultimo dell’umanità intera (escatologia collettiva) e del singolo individuo (escatologia individuale). Per questo motivo essa si concentra intorno a quattro temi fondamentali: morte, giudizio, inferno e paradiso definiti dalla teologia moderna come ‘novissimi’. Secondo tale dottrina l’attuale stato del mondo è destinato a scomparire. Di questo evento però non viene detto il tempo. La stessa fine viene variamente interpretata: come definitiva scomparsa della realtà attualee ricreazione della nuova; oppure come profonda trasfigurazione di quella attuale e definitiva conformità al progetto di Dio. La prima interpretazione si fonda sull’esperienza del disfacimento totale a cui è soggetta la vita biologica con la morte; la seconda sulla trasformazione che avviene in un credente col processo di conversione che pur lasciando il stato attuale del corpo, viene radicalmente trasfigurato dalla vita nuova del Cristo. [3] “Apocalisse” significa “togliere il velo” - dal greco apokálipsis, composta da apo = da e kalýptõ = nascosto. In ambito cristiano il termine indica una particolare rivelazione da parte di Dio sulle cose riguardanti il suo mistero salvifico. Il primo esempio di visione apocalittica lo troviamo nel capitolo 10 del libro di Daniele e precisamente quando ha la visione dell’uomo vestito di lino. Nel NT invece è l’evangelista Giovanni sviluppa una simile visione nel suo libro: Apocalisse. L’uso di tale termine in riferimento alle cose ultime ha contribuito a conferirgli un significato di evento disastroso e calamitoso.




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