13/12/2020 - 3° Domenica di Avvento - Anno B
- don luigi
- 12 dic 2020
- Tempo di lettura: 7 min
Is 61, 1-2.10-11; Sal da Lc 1, 46-54; 1Ts 5, 16-24; Gv 1, 6-8.19-28
Giovanni: l’uomo dell’Avvento

Tra le figure di rilievo che caratterizzano il tempo dell’Avvento vi è senza dubbio Giovanni il Battista. Noi abbiamo avuto modo di incontrarlo già domenica scorsa. Ora vorremmo cogliere l’occasione che la liturgia di questo tempo ci offre, per accostarci a lui e conoscerlo un po’ più da vicino, soprattutto per capire: cos’ha da dire a noi che viviamo in un contesto religioso così diverso dal suo. Non è facile capire la sua personalità. I dati di cui disponiamo sono abbastanza scarni, ma piuttosto incisivi per lasciarci immaginare il carattere. Spesso le notizie che abbiamo di lui sono solo quelle legate al sentito dire, specie in questi tempi liturgici, cosiddetti “forti”, come Avvento e Quaresima, nei quali la Chiesa spesso ne parla. Difficilmente, invece, accade che ci soffermiamo a leggere e a meditare quei brani evangelici che lo ritraggono un po’ più accuratamente. Certo si tratta di dati piuttosto sobri, ma abbastanza rilevanti e sufficienti se li confrontiamo con altri, per esempio, quelli di Maria, alla quale la tradizione evangelica, pur riconoscendole un ruolo ben più rilevante, dice molto di meno rispetto al Battista.
Magari alcuni di noi non nutrono alcun interesse per lui e altri, pur volendo, non hanno modo di approfondire la sua figura solo perché mancano degli ‘strumenti biblici’ idonei per farlo. Quello che dirò perciò è destinato a coloro che hanno il coraggio di lasciarsi sollecitare dal desiderio e dalla curiosità, se non altro per capire la ragione che ha spinto Gesù a considerarlo “tra i più grandi nati di donna” (Lc 7, 28), o forse per capire se la sua figura profetica si rivela ancora attuale e quindi in che termini è ancora consigliabile proporlo a modello per “quelli che hanno fame e sete di giustizia; per gli operatori di pace, per i perseguitati a causa della giustizia” (Mt 5, 6.9.10), per quanti, cioè, avvertono più intensamente il desiderio di vivere la vita sociale secondo lo stile delle Beatitudini, proposte da Gesù. Ecco allora alcune possibili ragioni, per fare, come si suol dire in ambito cinematografico, una zummata su di lui, per metterlo meglio a fuoco nella nostra memoria personale, per prendere maggiormente coscienza della sua identità profetica, e soprattutto per capire come egli può insegnarci a vivere l’Avvento e più in generale la vita come attesa del Messia.
Oggi, per le esigenze comunicative che ci caratterizzano, svolgeremmo questa operazione attraverso un’intervista, meglio ancora se video, durante la quale lui avrebbe modo di raccontarsi e darci eventualmente qualche consiglio sul nostro modo di vivere la fede nell’oggi culturale. Ma evidentemente la cosa non è possibile. Per questo ci rifacciamo a quelle poche fonti di cui disponiamo, come i Vangeli, gli Atti degli Apostoli e uno storico romano, di origini ebraiche, come Giuseppe Flavio, per delineare alcuni tratti della sua persona e della sua missione. Sorprendente, per esempio, è notare come in tutta la letteratura paolina non si parla mai di lui, come del resto di tante altre figure evangeliche, tra le quali Maria.
A giudicare da quello che gli evangelisti dicono di lui, non sarà stato certamente una persona facile. Nell’immaginario collettivo egli riveste il ruolo di un profeta scomodo, dalla voce tuonante, che non ha peli sulla lingua e non ha paura di dire la verità, anche se sa dirla al momento giusto e nel modo giusto. Un uomo dal fisico asciutto, energico, sobrio, essenziale; di quelle persone integerrime, giuste, che come dice il libro della Sapienza crea imbarazzo, perché contrario alla logica di vita comune, e che quindi è meglio eliminare, perché con la sola presenza condanna le scelte di vita accomodanti (cf. Sap 2, 12-15).
Sappiamo che svolgeva la sua missione sostanzialmente nel deserto, dove viveva una vita ascetica, specie se consideriamo quello che mangiava: “cavallette e miele selvatico”; e quello che vestiva: “peli di cammello e una cintura intorno ai fianchi” (Mt 3, 4). A quanto pare, però, pur vivendo in modo piuttosto ritirato e lontano dal contesto religioso ebraico, non era solo, bensì svolgeva una vita comunitaria, sia pure ristretta all’ambito dei soli suoi discepoli. Una sorta di vita cenobitica, dunque. Tutto ciò, tuttavia, non significa che egli si disinteressasse della vita sociale, specie quella gerosolimitana, dove era particolarmente conosciuto e dove non mancava di far sentire la sua voce, denunciando alcune situazioni moralmente incresciose, come quella del tetrarca Erode, per la quale venne incarcerato e poi condannato a morte (cf. Lc 3, 19s), e dove con toni piuttosto aspri, rimproverava coloro che cercavano con astuzie, seduzioni e bugie pur di sottrarsi al giudizio divino (cf. Lc 3, 7). Una persona apparentemente implacabile, come l’immagine di Dio di cui si faceva annunciatore. Alquanto diversa da quella annunciata dal Messia di cui era promotore convinto (cf. Lc 7, 33-34).
La sua vocazione profetica è legata soprattutto alla profezia di Isaia 40, 3 (cf. Mc 1, 3) e a quella di Malachia 3, 1 (cf. Mc 1, 2), a partire dalle quali egli svolge un’intensa attività predicativa, specie intorno al fiume Giordano, dove praticava un battesimo di conversione, dovuto alla forte percezione che aveva dell’imminente venuta del Messia (cf. Mc 1, 4ss). Lo stesso Gesù, riconoscendogli l’alto profilo profetico, svolto nell’orizzonte del piano salvifico di Dio, si lascia battezzare da lui (Mc 1, 9ss). La sua nascita è legata ad un evento prodigioso: la mamma Elisabetta, sterile, rimane incinta a seguito di una visione che il padre Zaccaria ha nel Tempio, nella quale gli viene preannunciato perfino il nome da dare al figlio: Giovanni (cf. Lc 1, 5-25). Interessanti sono i vari parallelismi che gli evangelisti creano tra l’infanzia e la missione del Battista e quella di Gesù, a partire dai quali viene delineata la particolare superiorità di Cristo (cf. Lc 1-2).
Naturalmente la sede non ci consente di seguire il criterio teologico con cui ciascun evangelista interpreta la sua figura e la sua missione. Per questa ragione, data la circostanza, ci limiteremo a soffermare la nostra attenzione solo su quelle notizie che emergono dal brano odierno dell’evangelista Giovanni (cf. Gv 1, 6-8.19-28), per il quale egli non svolge solo un ruolo di precursore del Messia, ma si pone a suo totale servizio. Stando al brano, infatti, il Battista confessa pubblicamente, davanti ai sacerdoti e leviti, inviatogli dalle autorità giudaiche di Gerusalemme, di non essere lui il “Messia”, né “Elia”, né “uno dei profeti” (cf. Gv 1, 20-21), ma di identificarsi con la “voce che grida nel deserto”, ovvero con colui che è chiamato a far prendere coscienza dell’imminente venuta del Messia. Il suo ruolo pertanto è quello di favorire nei cuori degli ascoltatori quel processo di conversione, che predispone non solo all’attesa, ma suscita anche un desiderio profondo di un incontro personale con lui, simile a quello che una sposa prova per lo sposo, come traspare dalla parabola delle Dieci vergini (cf. Mt 25, 1-13), per intenderci. Per questo ragione egli viene definito l’“amico dello sposo”, del quale però non è degno neppure di slegare il legaccio del suo sandalo (cf. Gv 1, 27). Una formula questa per dire che pur vedendosi riconosciuto il diritto di ereditare il titolo di Messia, vi rinuncia perché riconosce l’immensa superiorità di Gesù che gli sta davanti, come colui che porterà a compimento il disegno salvifico di Dio. Una persona, sincera, autentica sotto il profilo morale. Le risposte che dà a coloro che lo interrogano sulla sua identità profetica e messianica e sulla sua attività di battezzatore (cf. Gv 1, 19-27) costituiscono un autentico esempio di onestà intellettuale e spirituale. Una testimonianza emblematica per chiunque, oggi, si accinge a svolgere un ruolo pubblico: sociale o ecclesiale che sia. Tutti gli evangelisti, all’unanimità, lo definiscono la “voce” profetica per eccellenza, non tanto per quello che ha detto del Messia, quanto per averlo saputo riconoscere tra la folla e indicarlo come “L’Agnello di Dio che toglie i peccato del mondo” (cf. Gv 1, 29.36), a quanti attendevano la salvezza in Israele, secondo la profezia del vecchio Simeone (cf. Lc 2, 34). L’evangelista Giovanni, nel suo Prologo, parla di lui come di chi “venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui” (Gv 1, 7).
Alla luce di questo quadro evangelico che ci ha permesso di raccogliere in unità le varie notizie sparse su di lui e di delineare meglio il suo volto, proviamo ora a rispondere alla domanda che ci siamo posti all’inizio del nostro commento: cos’ha da dire il Battista a noi che viviamo in un contesto religioso e sociale e culturale così diverso dal suo, eppure con tratti così affini al suo? Immagino che non sono poche le domande che tanti di noi vorrebbero porgli, soprattutto quelle legate alla sua missione, del tipo: quale consiglio darebbe a chi sente di essere chiamato a soddisfare “la fame e sete di giustizia”; ad operare nel mondo la pace e ad accettare per Cristo e la sua causa evangelica perfino le persecuzioni (cf. Mt 5, 6.9.10)? Cosa direbbe a chi si ritrova ad avere la responsabilità di denunciare situazioni incresciose sotto il profilo morale e sociale?
Ma non possono mancare anche le domande legate alla sua vocazione. Per esempio: come ha fatto a capire di essere chiamato a svolgere la sua missione di profeta e più specificamente di precursore del Messia? Che ruolo hanno avuto le sue conoscenze della letteratura profetica? In che modo hanno inciso sulla sua formazione? Quale consiglio darebbe a chi vorrebbe accostarsi allo studio della Sacra Scrittura e alla meditazione della Parola di Dio? Come ha fatto a riconoscere il Messia tra la folla? Di quali criteri di discernimento disponeva? Quali segni ha dovuto interpretare per cogliere che era arrivato il momento decisivo della conversione. Che consigli darebbe per insegnare anche a noi ad interpretare i segni che malgrado tutto Dio continua a mandare tra di noi? Cosa dava vigore alla sua speranza per continuare a credere nonostante l’apparente silenzio di Dio?
Queste e tante altre domande sono sicuro che frullano nella mente e nel cuore di quanti avvertono il forte desiderio di volere uscire dal coro massificato della nostra società ed investire le proprie forze su qualcosa di divino, insomma di spendere la vita per Cristo e la sua causa evangelica.
Ma c’è un aspetto sul quale Giovanni avrebbe certamente qualcosa da dire ad ognuno di noi, oggi, specie a quanti fanno fatica a riconoscere la propria identità, la propria missione sociale, il proprio ruolo e servizio nella Chiesa. La domanda che gli viene posta dai latori delle autorità religiose: “Tu chi sei?”, mi auguro che interpelli fortemente chi è abituato a non venire mai allo scoperto e non ha il coraggio di gettare lo sguardo su Dio dentro di sé. In un contesto culturale come il nostro, dove si assiste all’esaltazione dell’io, Giovanni è colui che ci invita a spostare l’attenzione su Dio e a considerarlo come il principio e il compimento della nostra identità umana e relazionale. È su questa base che anche noi come il profeta Isaia (cf. Is 61, 10), il salmista (cf. Lc 1, 46) e san Paolo (1Ts 5, 16), possiamo fondare la gioia del nostro annuncio di Natale, nell’oggi della nostra fede. Sulla stessa base auguro a ciascuno di voi di essere, come il Battista, uomini e donne dell’Avvento.




Commenti