10 Gennaio 2021 - Battesimo del Signore - Anno B
- don luigi
- 10 gen 2021
- Tempo di lettura: 5 min
Is 55, 1-11; Sal (da Is 12); 1Gv 5, 1-9; Mc 1, 7-11
Battesimo: la vita nuova che feconda la terra

A conclusione di tutto il ciclo natalizio la Chiesa ci fa celebrare il Battesimo di Cristo. Un evento decisivo che ha segnato una svolta nell’esistenza di Gesù, determinando il passaggio dalla vita privata alla vita pubblica. Noi cercheremo di commentarlo sforzandoci di capire cosa ha significato per Gesù e cosa comporta per la nostra vita personale ed ecclesiale.
Per introdurci in esso vi propongo di leggere l’episodio in tutti e quattro Vangeli, così da evidenziare le affinità, le differenze e lo specifico di ciascun evangelista; poi di rileggerli ancora alla luce del brano paolino della lettera ai Filippesi 2, 5-11, autentica chiave di lettura, per comprendere il senso di tutto l’evento incarnativo di Cristo, appena celebrato. Questa operazione vi consentirà non solo di acquisire un metodo di lettura della Scrittura, ma di cogliere il seno della “vita nuova in Cristo” (Rm 6, 4) che il battesimo comporta. Non si tratta, dunque, tanto di fermarvi a considerare il battesimo in se stesso, con i gesti e i simboli che lo caratterizzano, ma di far luce soprattutto sui quei “sentimenti”, e quindi su quei pensieri che hanno portato Gesù a consacrarsi interamente alla salvezza degli uomini, della quale il Battesimo costituisce l’evento introduttivo.
Paolo ce li lascia intendere quando afferma che Cristo Gesù, “pur essendo di natura divina”, decise di “spogliarsi”, ossia “privarsi”, di tutti quei “privilegi soprannaturali”, per cosi dire, che avrebbero potuto, in certo qual modo, facilitare il suo cammino di umanizzazione. Egli decise di cominciare da uomo tra gli uomini, senza usufruire di nessun vantaggio divino. L’itinerario spirituale che egli decise di intraprendere accostandosi al Battesimo di Giovanni, non è quello di una persona divina che, dotato già di tutte le qualità cognitive, morali e spirituali, deve solo ostentarle nelle varie circostanze della vita, ma quello di un “servo”, che comincia dalla “condizione” più fragile, umile ed estrema della natura umana: il peccato; manifestando, in questo modo, il bisogno di redenzione al pari di ogni altro peccatore. La sua dunque è la piena solidarietà con quanti anelano alla salvezza e non dispongono di null’altro che di Dio, per lasciarsi redimere. Una simile scelta di vita non è delegata al caso, ma rivela la coscienza di chi ha deciso di conformare la propria vita a quella divina e che Paolo esprime attraverso il termine “obbedienza”. Nella sua visione l’obbedienza non è la cieca sottomissione alla volontà di un despota, che costringe ad annullare ogni facoltà volitiva, affettiva, razionale e intellettiva, ma la libera decisione di consegnare la propria esistenza a Dio, nella convinzione che tale scelta costituisce la condizione più favorevole per realizzare il piano salvifico di Dio. E’ per questa ragione che Gesù rimane fedele fino alla fine, anche quando capisce che la volontà di Dio comporta non solo il totale rinnegamento di sé, ma perfino la morte, nella forma più ignominiosa come quella della croce.
Questo epilogo al quale giunge Gesù, definisce un esito assolutamente improponibile agli occhi del mondo. Esso sembra qualificare il profilo di una logica esistenziale che conduce inevitabilmente alla totale disfatta della propria vita. Da qui i sentimenti di forte ostilità e ripugnanza che essa suscita nella stragrande maggioranza delle persone. In realtà, il modo con cui Gesù ha svolto la sua vita, costituisce la condizione più autentica per giungere alla glorificazione da parte di Dio. Gesù, infatti, a differenza di quanti nella propria vita, vanno alla ricerca di riconoscimenti personali, non ha mai cercato di attirare l’attenzione su di sé, al contrario, ha progressivamente “rinnegato” e “svuotato” se stesso a favore della piena rivelazione del Padre. Tutto ciò che egli ha compiuto è stato in vista del Padre e della rivelazione del suo volto misericordioso. Questa logica di vita, paradossalmente, lo ha condotto ad essere esaltato dal Padre, come Paolo stesso afferma, quando dice: “per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome … e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 9.11). Così mentre gli uomini fanno di tutto per autoesaltarsi, Gesù ha lasciato che fosse il Padre a glorificarlo. A questo proposito vi suggerisco di meditare anche sul capitolo 17 del Vangelo di Giovanni, dove Gesù sembra aprirci totalmente il suo cuore e rivelarci il segreto della sua esistenza, attraverso la preghiera che egli fa prima di avviarsi alla sua passione e morte. Un capitolo, questo di Giovanni, particolarmente significativo per capire che tutta la vita di Gesù è stata una crescente manifestazione del volto del Padre, al punto da poter dire che “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 14, 9).
L’evangelista Marco sintetizza, come è suo solito, tutto questo discorso attraverso un racconto battesimale estremamente sobrio, con un linguaggio chiaramente simbolico, nel quale fa menzione di due segni che ci danno l’idea del Battesimo di Gesù come di un evento teofanico: lo “Spirito” che scende su di lui come una “colomba” e la voce del Padre che lo proclama come il “Figlio suo, l’amato in cui egli ha posto il suo compiacimento” (cf. Mc 1, 11). Un modo questo per ribadire quel riconoscimento divino e quindi quella glorificazione di Gesù che proviene direttamente dal Padre. In altri termini il Padre si compiace con Gesù perché vede realizzato in lui quell’uomo secondo il suo cuore (cf. 1Sam 13, 14), da lui tanto desiderato, e lo presenta come colui al quale ogni uomo deve vedere per realizzare appieno la sua umanità.
Questo percorso esistenziale di Gesù che abbiamo cercato di delineare grazie anche all’ausilio di altri brani biblici, non fa che evidenziare la logica battesimale di quanti decidono di condividere la sua esistenza evangelica. Ciascun credente, indipendentemente dal proprio stato di vita, sposato, ordinato o religioso che sia, è chiamato a condividere con Gesù la sua volontà di trasfigurare ogni ambito della vita umana, attraverso quella che Paolo definisce la “vita nuova in Cristo”, e Giovanni “vita filiale”. Nell’una e nell’altra formula si tratta di vivere il comandamento dell’amore di Dio (cf. 1Gv 5, 1-3), grazie al quale è possibile vincere quelle tensioni relazionali che, in diverso modo e forma, rendono attuale la realtà del peccato nel mondo (cf. 1 Gv 5, 4-5). L’amore diventa così come la pioggia di cui parla il profeta Isaia 55, 10: esso, come un moto di grazia divina scende dal cielo per posarsi nelle persone, fecondando il loro cuore e la loro mente. Tale amore non ritorna al Padre senza aver generato relazioni di vita trinitaria che trasfigurano dall’interno la vita degli uomini. In questo senso il battesimo non può essere assolutamente ridotto alla semplice celebrazione di un rito, come purtroppo ancora accade per molti di noi, ma va disteso durante tutta l’esistenza storica e manifestato attraverso uno stile di vita che riflette la stessa dinamica dell’evento pasquale che Gesù rende visibile attraverso la sua passione-morte-risurrezione. Il battesimo costituisce perciò il nucleo vitale di tutte quelle relazioni ecclesiale che rendono visibile la vita divina di Dio tra gli uomini.




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