02 Marzo 2022 - Anno C - Mercoledì delle Ceneri
- don luigi
- 2 mar 2022
- Tempo di lettura: 8 min
Gl 2,12-18; Sal 50/51; 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18
La conversione: uno stile di vita evangelico

L’opera alla quale la Chiesa ci chiede di mettere mano col rito delle Ceneri è la conversione, della quale traccia anche un itinerario dislocato lungo il tempo di Quaresima. Un itinerario che, in realtà, necessita di essere esteso a tutta la nostra esistenza. La conversione diventa così uno stile di vita evangelico, perennemente in atto, che trova la sua pienezza e compimento solo nell’incontro pasquale con Cristo. La Quaresima costituisce allora l’occasione propizia – o come dice san Paolo – il “tempo favorevole” (2Cor 6,2), per conoscere un po’ più da vicino la sua dinamica e riprendere la sua opera là dove è stata lasciata interrotta o neppure cominciata.
Molto spesso immaginiamo la conversione solo come un evento divino del tutto eccezionale, che accade solo a persone prescelte, in un preciso momento della loro vita, in modo così sconvolgente e incisivo, da determinarne una svolta radicale senza precedenti. In realtà questa idea di conversione proviene più da uno stile narrativo sobrio, tipicamente evangelico, teso a evidenziare solo i momenti essenziali dell’azione di Dio e a tacere tutto quel cammino interiore che lo Spirito compie previamente e pazientemente nel cuore delle persone. Si tratta per lo più di un cammino remoto, dilazionato nel corso degli anni e perfino di decenni, che spesso rimane ignoto e misterioso persino alla persona interessata. Durante questo periodo lo Spirito suscita aneliti, ispira intuizioni, matura pensieri, provoca decisioni, promuove incontri, tesse relazioni, genera vita, fino a determinare quell’atto conosciuto come “metanoia” o se si preferisce “conversione”, che consiste in un vero e proprio cambio di mentalità, relativo a tutto quel modo tradizionale e abitudinario di pensare Dio e la vita spirituale che ne proviene, per comprenderne il senso autentico. Quello appena descritto è il cammino ordinario che caratterizza la vita spirituale della stragrande maggioranza delle persone. Ciò non esclude quei casi dove effettivamente questo processo di cambiamento accade in modo così repentino, da diventare veri e propri casi eccezionali, nei quali tuttavia la componente caratteriale di una personalità decisiva e forte, svolge un ruolo non indifferente. La Bibbia è costellata di questi episodi, basti pensare alla conversione di san Paolo[1] o a quella dei primi discepoli, e prima ancora di Maria, tuttavia non fa mistero su coloro che, invece, fanno fatica a liberarsi di tutto quel groviglio di pensieri fatto di indugi, dubbi, incertezze, indecisioni, ripensamenti che rischiano di rallentare e perfino di soffocare il cammino di conversione. Basterebbe leggersi il racconto della chiamata di Gedeone (cf. Gdc 6-8), o quella del Giovane ricco (cf. Lc 18,18-30), per rendersi conto dell’estremo realismo con cui la Bibbia descrive questo processo di conversione e della concreta possibilità che esso rimanga solo a livello di desiderio.
Da qui alcune domande che possono aiutarci a fare luce su di essa e soprattutto a capire il modo con cui tradurla nella vita quotidiana, specie in un contesto sociale come il nostro dove la pandemia prima e la guerra ora, possono rivelarsi come segni per un autentico ravvedimento morale e spirituale: come accade la conversione? Quali sono le condizioni e le tappe che ne garantiscono lo sviluppo? Quali invece i vincoli che rischiano di atrofizzarla? Il suo cambiamento riguarda solo la vita interiore o prevede anche un coinvolgimento ecclesiale e sociale? Quali sono i segni che la rendono visibile? Nel rispondere a queste domande mi sforzerò di individuare quei criteri, elementi e condizioni che possono aiutarci a riconoscere l’opera di Dio nella nostra vita, per aderire all’azione dello Spirito che guida il nostro cuore all’ascolto della sua voce.
I vangeli parlano di essa come di un evento dello Spirito, provocato dall’incontro con Cristo, attraverso il quale Dio irrompe nella vita di una persona, determinandone un rinnovamento interiore così radicale, da indurla a lasciare tutto e a intraprendere uno stile di vita nuovo, conforme a quello evangelico di Cristo. Si tratta perciò di un’azione trinitaria, nella quale convergono Dio, inteso come principio di ogni chiamata; Cristo che costituisce il nuovo punto di riferimento esistenziale; e lo Spirito che guida il chiamato a unire progressivamente la propria vita a Cristo. Il suo sviluppo prevede una struttura umana e religiosa matura, che fa da sostrato spirituale sul quale Dio interviene per cominciare la sua opera. Una persona umanamente e religiosamente chiusa, egocentrica, sospettosa, scettica, diffidente, calcolatrice è ben lontana dall’intraprendere un cammino spirituale che invece richiede slancio, generosità, bontà, fiducia, arditezza, libertà. Dio con la sua voce non fa che stimolare costantemente la persona ad uscire fuori di sé e a intraprendere un rapporto di fiducia con lui, fino a creare una stima reciproca così intima, intensa e profonda, da diventare la ragione stessa della vita. L’amore tra di loro diventa così assoluto, esclusivo, passionale da essere forte come la morte, tenace come gli inferi, le sue vampe diventano come un roveto ardente che neppure i fiumi possono spegnere (cf. Ct 8,6-7, Es 3,1-2).
Questa relazione tuttavia prima di acquisire una simile forma, necessita di passare attraverso alcune tappe graduali, nelle quali non mancano alti e bassi, fedeltà e tradimenti, aperture e chiusure, slanci mistici e licenziose corruzioni, manifestazioni ineffabili e rigide resistenze, esattamente come accade tra Dio e il popolo durante la storia biblica della salvezza. Quella degli uomini con Dio non è una storia di virtuosi, ma di peccatori che chiedono continuamente di essere perdonati, guariti e salvati. Per questa ragione la conversione richiede come condizione fondamentale il pentimento (cf. Mt 3,2), l’umiltà (Lc 14,11) e il perdono (cf. Lc 5,8), ai quali si giunge non già perché mossi da un precetto religioso[2], ma perché provocati da un incontro personale con Cristo (cf. Lc 19,1-10), che si rivela così determinate da suscitare una vera e propria svolta esistenziale. Così figure come quelle di Zaccheo, della Samaritana, dell’Adultera, di Pietro … e parabole come quella del Figliol prodigo (Lc 15,11-32), della Dracma perduta (Lc 15,8-10) e della Pecorella smarrita (Lc 15,4-7), possono costituire indiscutibili punti di riferimento per chiunque desideri intraprendere un autentico cammino di conversione, durante questo tempo di Quaresima.
Il profeta Gioele parla di questo rinnovamento come di un ritorno a Dio, originato dalla stessa implorazione divina: “Ritornate a me con tutto il cuore” (Gl 2,12), e confermato dalla personale testimonianza del profeta: “Egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore, pronto a ravvedersi riguardo al male” (Gl 2,13). Dio provoca il nostro ritorno infondendo nel cuore un’indomabile nostalgia di lui e della sua casa, simile a quella descritta da sant’Agostino quando dice: “Il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in te”. È qui che rinasce in noi la possibilità di invertire la rotta della nostra esistenza. Si tratta di un momento di grazia che san Paolo esorta a non lasciar passare invano: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20). Dio ripetutamente sussurra al nostro cuore: “Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso” (Is 49,8). L’apostolo, come sollecitato dal desiderio struggente di far cogliere questa speciale opportunità dello Spirito, ribadisce: “Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza” (2Cor 6,2).
Gesù traduce questo ritorno a Dio con un movimento introspettivo, nel quale l’uomo è invitato a rientrare in se stesso: “Quando preghi, entra nella tua camera” (Mt 6,6). È lo stesso movimento col quale il Figliol prodigo, rientrato in se stesso (cf. Lc 15,17), decide di tornare dal padre. Si tratta dunque di un movimento decisivo nel quale il peccatore scopre la possibilità di risignificare tutta la propria vita, partecipando dell’azione ricreativa dello Spirito che “fa nuove tutte le cose” (cf. Ap 21,5) e dell’opera del Padre, ricompreso come il centro unificativo del proprio io. Per Gesù allora il digiuno[3], la preghiera e l’elemosina in tanto hanno senso in quanto costituiscono segni manifestativi di un cambiamento interiore, nel quale l’uomo decide il suo desiderio di conformare la propria vita a quella evangelica di Gesù. È la testimonianza di questa vita a dare ragione e a manifestare esternamente la nostra reale conversione a Cristo.
Queste testimonianze bibliche ci fanno capire che la conversione non è affatto una situazione che può essere attuata così di buon grado, sull’onda di una estemporanea generosità e bontà, ma necessita di una ferma e costante convinzione, soprattutto di verificare le giuste disposizioni per portarla a compimento. Gesù spiega aspetto con la metafora della torre (cf. Lc 14, 28-30), con la quale, rivolgendosi a coloro che avevano chiesto di seguirlo, dice di verificare prima le prerogative spirituali, atte a questa impresa. Da qui la ragione che lo spinge ad elencare una serie di condizioni (cf. Lc 14,26-27; 19,21.29; Mc 8,34-37; Mt 16,24-26), con le quali, tutti coloro che, allora come oggi, avvertono il desiderio di aderire al suo Vangelo, sono chiamati a confrontarsi. Esse diventano perciò il criterio per verificare l’idoneità della sequela. In questo senso convertirsi a Cristo non significa porsi solo dietro di lui o fare una semplice professione di fede, e neppure eseguire in modo servile i suoi precetti, ma conformarsi al suo modo di pensare, di amare, di vivere, di relazionarsi. In altre parole, significa aderire e condividere la sua logica di vita. È qui lo zoccolo duro che garantisce il cambiamento. La conversione prevede perciò la revisione di quelle qualità umane e disposizioni religiose, morali, spirituali, mentali, affettive, relazionali senza le quali il processo di conversione rischia di esporci al ridicolo e alla derisione degli altri (cf. Lc 14,29-30), o di ridursi solo a un fragile germoglio che secca non appena subentrano le prove della vita (cf. Lc 8,13), provocando in questo modo solo una drammatica ed inutile disfatta esistenziale (cf. Lc 14,31-32).
Conversione e conversioni
Sotto l’aspetto religioso la parola conversione sembra essere scomparsa dal vocabolario culturale contemporaneo, eppure nessun periodo storico è stato tanto soggetto alla conversione come quello attuale, pienamente coinvolto in quello che viene comunemente definito “passaggio epocale”, e dove nessun ambito della vita è escluso. Basti pensare a tutte le strutture tecnologiche, energetiche, meccaniche, comunicative, che hanno dovuto intraprendere, negli ultimi decenni, un processo di conversione a causa dei radicali cambiamenti provocati dall’inquinamento, dalla globalizzazione, dall’informatica e dall’esaurimento delle tradizionali fonti energetiche. In tutti questi casi il termine conversione sta ad indicare quel cambiamento strutturale, rivelatosi necessario per soddisfare le nuove esigenze sociali e culturali; sottoponendo tutti ad uno sforzo non indifferente non solo a livello economico, ma anche mentale, teso alla ricerca di nuove risorse, nuovi modelli economici, nuove tecnologie, nuove fonti energetiche e di conseguenza anche nuovi stili di vita sociale. Consapevoli di questa sfida ciascuno come meglio può si adatta al cambiamento, investendo tutte le proprie risorse creative ed economiche. La domanda è: se l’attuale circostanza epocale sta rendendo necessario un cambiamento di questa portata a livello economico, finanziario, tecnologico, informatico … perché non corrisponderlo anche con uno a livello umanistico, sollecitati come siamo dalle nuove istanze esistenziali e soprattutto dai rischi di una nuova guerra mondiale che potrebbe rivelarsi decisiva per il futuro dell’umanità e del già precario equilibrio ecologico della terra? E vorrei aggiungere di più: perché non tradurlo anche a livello spirituale, costantemente come siamo provocati dall’istanza salvifica di Cristo e dal suo stile di vita evangelico? Tutto ciò ci fa capire che la conversione è un processo che non può più limitarsi alla sola sfera religiosa e spirituale, ma va esteso a tutte le dimensioni della nostra esistenza: intellettiva, morale, culturale, affettiva, relazionale, sociale fino a raggiungere la nostra natura più intima e profonda, che la Bibbia esprime in termine di “cuore”, inteso come quel luogo dove siamo chiamati a decederci non solo il futuro storico, ma anche quello della salvezza e della piena eterna comunione on Dio.
[1] La testimonianza che Luca ci offre di questo apostolo, nel racconto degli Atti, lascia intendere tuttavia anche un periodo di discernimento, durato all’incirca quindici anni, durante il quale Paolo sviscera e assimila il contenuto della rivelazione che Cristo gli fa al momento della chiamata sulla via di Damasco. [2] Quando la conversione è mossa solo da un precettismo religioso, legata cioè a doveri morali e legali, allora rischia di ridursi solo a una manifestazione formale ed esteriore, che difficilmente si traduce in un’esperienza spirituale di libertà. [3] Senza escludere la valenza morale e religiosa di cui anche Gesù dà prova durante la permanenza nel deserto, si rivela particolarmente interessante quello che dice il profeta Isaia a proposito del digiuno gradito a Dio (Is 58,1-12), così lontano da quello praticato da noi e ridotto solitamente solo all’astinenza dai cibi.




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