Pasqua di Risurrezione del Signore 31 marzo 2024 - Anno B
- don luigi
- 30 mar 2024
- Tempo di lettura: 4 min
At 10,34a.37-43; Sal 117/118; Col 3,1-4 (1Cor 56b-8); Gv 20,1-9 (Lc 24,13-34)
“Vide e credette”

“Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino …, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò a riferirlo ai discepoli. Due di loro: Simon Pietro e l’altro discepolo, quello che Gesù amava, corsero e si recarono al sepolcro. Entrando videro le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo … piegato in un luogo a parte. Allora quel discepolo … che Gesù amava, vide e credette” (cf. Gv 20,1-9).
Quella appena raccontata è la sintesi della testimonianza di fede di uno dei primi discepoli di Gesù, che la tradizione ecclesiale fa risalire all’apostolo Giovanni, ma che nell’attuale brano evangelico viene qualificato in termini di “discepolo che Gesù amava”. Si tratta di una testimonianza preziosa perché ci riporta agli albori della fede nella Risurrezione e alle sue primissime fasi di sviluppo. Ad ogni modo prima che si cominci a parlare di “apparizioni” del Risorto, considerate vere e proprie testimonianze fondamentali della reale risurrezione di Cristo. Gli elementi che la caratterizzano, oltre a descriverci la cronaca di un episodio storico, ci informano anche dei passaggi spirituali che ciascuno di noi deve compiere se intende fare la sua stessa esperienza di fede.
È interessante notare che l’evangelista Giovanni nel raccontare questo episodio, faccia uso di una sequenza verbale, la cui disposizione ci lascia subito intuire le tappe del nostro itinerario di fede: “entrare”, “vedere”, “credere”. Con brevissimi tratti narrativi egli ci consente di ripercorrere il cammino di conversione che abbiamo cercato di tracciare durante la Quaresima. Alcuni di questi verbi, infatti, li abbiamo già incontrati e commentati nell’episodio evangelico di Nicodemo: “Se uno non nasce da acqua e Spirito non può entrare nel regno di Dio” (Gv 3,5)[1], e subito dopo in quello dei Greci: “Signore, vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21)[2]. A questi verbi Giovanni, nell’attale brano evangelico, ne aggiunge un altro: “credere”, come a voler prospettarci lo scopo e la meta della nostra conversione.
Rileggendo attentamente questo episodio evangelico prendiamo atto che né il “discepolo che Gesù amava”, né Pietro, né tanto meno Maria di Magdala, affermano di aver visto il Risorto. Il loro racconto si limita, infatti, alla descrizione della “pietra ribaltata”; al sepolcro vuoto e alla menzione delle “bende e del sudario”, nel quale era stato avvolto il corpo di Cristo. Maria parla addirittura di rapimento della salma: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto” (Gv 20,2). Ci sembra perciò alquanto improbabile fondare una testimonianza di fede sulla scarsità di questi indizi o di questa prima interpretazione mariana. Viene perciò naturale la domanda: ma cosa ha visto e in cosa ha creduto il “discepolo che Gesù amava”, quando entrò nel sepolcro? Per rispondere a questa domanda occorre ripercorrere a ritroso il suo itinerario di fede, che consiste nel rileggere la drammatica vicenda di Gesù alla luce di tutto quello che lui aveva predetto in merito alla sua passione, morte e risurrezione (cf. Mt 16,21; 17,22-23; 20, 17-19; Mc 8,31; 9,31; 10,32-34; Lc 9,22; 9,43-44; 18,31-33), praticamente la stessa operazione che Gesù fa compiere ai due discepoli di Emmaus, quando “spiegando” la figura del Messia descritto dai Profeti, “aprì la loro mente all’intelligenza delle Scritture” (cf. Lc 24,26-27.45). L’atto dello “spiegare”, compiuto da Gesù, consiste essenzialmente nel togliere dalla mente quelle pieghe che le impediscono di vedere l’opera salvifica di Dio nel mistero della morte di Gesù. Si tratta allora di purificare tutti quei pregiudizi culturali che ci impediscono di accettare le nostre sofferenze, come necessarie per entrare e comprendere il mistero salvifico di Cristo che si va dispiegando nella nostra vita. Pietro e il “discepolo che Gesù amava”, compiono questa operazione entrando nel sepolcro di Cristo e vedendo le “bende e il sudario”, li interpretano non più come “trafugamento della salma”, ma come “segni” della sua risurrezione. Il che significa che è nel sepolcro, ovvero nella partecipazione personale alla morte di Cristo, che essi videro, compresero e credettero. Nel sepolcro, essi fanno memoria di tutti gli eventi della vita di Cristo e in particolare quelli della sua “passione e morte” e, rileggendoli alla luce del suo insegnamento, ne comprendono il senso.
Rimane significativo, tuttavia, che l’evangelista Giovanni, nel raccontare questo episodio, ci riporti solo l’esperienza personale del “discepolo che Gesù amava” e non pure quella di Pietro. Egli infatti non dice “videro e credettero, ma “vide e credette”, come a voler dirci che l’esperienza di fede, prima ancora di essere condivisa nella comunità ecclesiale, è un atto personale, col quale ognuno di noi deve saper rispondere personalmente del proprio incontro con Cristo. Non a caso quando alla fine della Liturgia domenicale della Parola, recitiamo il Simbolo della fede, diciamo: “Io credo” e non: “Noi crediamo”. La fede prima ancora di essere un atto comunitario è un atto personale. Non basta dunque assistere agli eventi della “passione e morte” di Gesù, come fanno i discepoli, così come non basta per noi celebrarli attraverso i riti liturgici della Settimana Santa, occorre che ciascuno prenda personalmente parte di essi, mettendo in atto tutte quelle operazioni dell’intelligenza spirituale che consentono di giungere all’atto di fede.
È su questa base che Pietro articola il suo discorso, come descritto da Luca nel libro degli Atti, nel quale, facendo memoria della vicenda di Cristo che va “dall’inizio del suo ministero in Galilea … fino alla sua crocifissione” in Giudea (cf. At 10,37-39), evidenzia la modalità con cui Dio ha operato, attraverso di lui, la salvezza del popolo d’Israele. È ripercorrendo questa stessa storia che anche noi possiamo rendere testimonianza della sua salvezza nell’oggi della vita ecclesiale, in modo tale che “chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome” (At 10,43). Se allora intendiamo, come ci ricorda san Paolo, diventare “lievito” che fa “fermentare” la vita nuova di Cristo nel mondo (cf. 1Cor 5,6), occorre “morire a noi stessi”, tenendo fisso lo sguardo “alle cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio” (Col 3,1-4),
L’augurio che vi rivolgo è che ciascuno di voi diventi seme dello “Spirito che fa nuove tutte le cose (cf. Ap 21,5), lo stesso che ha permesso al “discepolo che Gesù amava” di essere testimone della potenza redentiva di Cristo Risorto.
Cristo è risorto! È veramente risorto! Alleluja.
[1] Cf. 4a Dom di Quaresima.
[2] Cf. 5a Dom di Quaresima.




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