31/05/2020 - Domenica di Pentecoste Anno A
- don luigi
- 31 mag 2020
- Tempo di lettura: 9 min
At 2, 1-11; Sal 103/104; 1Cor 12, 3b-7.12-13; Gv 20, 19-23
Pentecoste: epifania dello Spirito nella Chiesa
Durante questo periodo pasquale e in particolare a partire dalla quinta domenica di Pasqua la Chiesa ci ha proposto una serie di brani biblici sullo Spirito Santo, come a prepararci all’Evento della Pentecoste. Su questa scia la liturgia di oggi si pone come una vera esplosione dello Spirito Santo, che si irraggia nella multiforme manifestazione dei suoi doni (cf. 1 Cor 12, 8-10), che contribuiscono a rivelare e ad incarnare nella Chiesa “l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza” (cf. Ef 3, 18-19).
Nel tentativo di gettare uno sguardo, sia pure solo superficiale, nella profondità di questo mistero d’amore, vorrei proporvi anche in questa circostanza, le domande che hanno guidato il nostro commento sull’Ascensione. È importante acquisire un metodo comunicativo, esso può aiutarci a delineare e a sviluppare il profilo della spiritualità con cui tradurre nel vissuto il contenuto della nostra fede. Riporto qui le domande a scopo didattico, naturalmente adattandole alla circostanza: qual è il significato teologico della Pentecoste? Che importanza ha per la nostra vita personale e in quale rapporto ci pone con la realtà della Chiesa? Come renderlo comprensibile agli altri e soprattutto come tradurlo nel vissuto ecclesiale? Per un approccio alla Pentecoste vi invito a leggere e a meditare con calma il Discorso di addio di Gesù (cf. Gv 13, 31-17,26), soffermandovi in particolare su quei brani dove Gesù fa riferimento al dono dello Spirito e i primi due capitoli degli Atti degli Apostoli. Tali brani vi aiuteranno senz’altro a creare quel contesto della prima comunità dei discepoli, all’interno del quale si dischiude il senso della nostra celebrazione.
Alla luce di questi brani vi accorgerete che il primo aspetto che balza all’attenzione è quello che ci fa comprendere la Pentecoste come l’anello di congiunzione tra la vita personale dei discepoli e la realtà della Chiesa che va prodigiosamente dischiudendosi e configurandosi nei primi giorni della sua vita. Tale rapporto è determinante perché ci fa cogliere l’intimo legame che sussiste tra la chiamata personale e quella comunitaria della Chiesa alla santità. In altre parole con la Pentecoste ciascun discepolo di Cristo è chiamato a capire il proprio posto nel Corpo mistico della Chiesa. In questo senso quel modo di vivere la fede come una questione privata e individuale, così diffuso oggi, è assolutamente improponibile. Nessuno si santifica per sé e nessuno si salva da sé. È importante che ciascuno comprenda il proprio carisma nella Chiesa non come occasione di prestigio personale, ma in funzione del bene della Chiesa. Se c’è una ragione dunque che giustifica la Pentecoste e i relativi doni che lo Spirito conferisce a ciascuno, questa va colta in quella visione comunionale che Gesù aveva della Chiesa, quale luogo di salvezza per ogni uomo.
Strettamente associato a questo primo aspetto è anche il rapporto che sussiste tra la fede personale e quella della Chiesa. La Pentecoste segna una tappa decisiva a questo duplice livello. Essa infatti non è solo una pioggia di doni, ma anche un momento di conferma della fede. Per questa ragione è fondamentale porla in rapporto ai sacramenti dell’iniziazione cristiana: se il Battesimo ci rende membri della Chiesa e l’Eucaristia che celebreremo tra qualche domenica, ci consente di partecipare della stessa vita divina di Cristo, la Pentecoste ci consolida nella comunione ecclesiale e ci conferma nella sua verità. A questo proposito vi suggerisco la lettura della prima lettera di Giovanni, dove si fa menzione della comunione ecclesiale come criterio primo di discernimento della volontà di Dio, onde evitare i rischi delle possibili derive cognitive a cui può andare incontro chi decide rompere con essa. È nella comunione che s’impara a capire il particolare disegno che Dio ha su ciascuno di noi e quello sulla Chiesa. In essa si cresce nella conoscenza della sua volontà (cf. Col 1, 9-10), poiché è in essa che noi riceviamo lo Spirito che scruta le profondità di Dio (cf. 1Cor 2, 10). E’ lui che conformandoci al pensiero di Cristo (cf. 1Cor 2, 16) ci mette in grado di divenire interpreti del linguaggio con cui Dio dischiude il suo piano salvifico nella storia, ed esegeti della sua Sapienza, con la quale impariamo ad incarnarlo nell’oggi della nostra fede e della vita sociale e culturale.
Un terzo aspetto che ci fa comprendere il significato della Pentecoste è la sua dimensione comunicativa. Il dono delle lingue che Luca mette bene in evidenza con la descrizione del suo racconto, ci fa capire che la Pentecoste non è una manifestazione poliglotta, ma prima di tutto un evento comunicativo di Dio, col quale rendere tutti partecipi del suo messaggio di salvezza. Gli apostoli non diventano improvvisamente esperti conoscitori di lingue straniere, perché di fatto in seguito continueranno a parlare solo le lingue da loro conosciute, ma strumenti universali di salvezza, dando origine a quella visione cattolica e quindi universale a cui è chiamata la Chiesa. Attraverso di essi il mistero nascosto da secoli – di cui parla san Paolo nelle sue lettere agli Efesini e ai Colossesi – diventa manifesto a tutti gli uomini (cf. Ef 3, 5-6; Col 1, 25-27).
Un quarto, ma non ultimo, aspetto è il carattere misterioso e inafferrabile con cui si manifesta lo Spirito. Il fuoco e il vento gagliardo con cui viene descritto ci dicono che Egli sfugge ad ogni tentativo di possesso. Come il fuoco non può essere accostato e come il vento non può essere imprigionato, così lo Spirito non può essere vincolato. Per questa ragione è simbolo della perenne libertà e novità nella Chiesa, principio che fa nuove tutte le cose (cf. Ap 21, 5).
Per procedere nel nostro commento ritengo opportuno un richiamo alla radici ebraiche di questa festa. Esso ci fa comprendere meglio lo sviluppo che ha assunto nei secoli, prima di assumere il significato e la sua forma attuale nell’ambito cristiano. Come la Pasqua anche la Pentecoste è un’eredità della tradizione religiosa ebraica. Essa era la seconda delle tre grandi feste ebraiche. Ciascuna veniva celebrata in un preciso periodo dell’anno e faceva memoria di un relativo evento di fede: la Pasqua, celebrata in primavera, ricordava il passaggio esodale; la Pentecoste, festeggiata in estate, celebrava il dono della Legge; la festa delle Capanne, celebrata in autunno, commemorava la precarietà del periodo di permanenza nel deserto. Nello specifico la Pentecoste veniva celebrata al termine di un periodo di sette settimane, quindi nel 50° giorno dopo la Pasqua, da cui il termine pentecoste (cf. Tb 2,1; 2 Mac 12, 31-32). Originariamente questo giorno veniva celebrato come ringraziamento a Dio dei frutti della terra, tra i quali il grano, perciò essa era ricordata anche come la festa dei covoni. Una festa che gli ebrei ereditano a loro volta dalle religioni cananee, presenti nel territorio della terra promessa, dove si erano insidiati dopo l’esperienza dell’esodo. Essa segna perciò per Israele anche il passaggio dalla vita nomadica alla vita stanziale ed agricola. Col tempo, il dono del raccolto viene sostituito con quello della Legge, perciò la Pentecoste diventa la festa dell’alleanza che Dio stipula col suo popolo per mezzo della Legge. Al tempo di Gesù la Pentecoste era diventata la festa della Nuova Alleanza, di cui parla il profeta Geremia (cf. Ger 31. 31-34), da qui la festa dello Spirito Santo, celebrata dai cristiani, quale dono che Dio elargisce a quanti riconoscono Cristo come colui che stabilisce la definitiva alleanza tra l’uomo e Dio.
Nello specifico cristiano la Pentecoste ha un’importanza fondativa per lo sviluppo della Chiesa. Col dono dello Spirito si realizza infatti da una parte la promessa fatta da Gesù ai discepoli: “Io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso” (Lc 24, 49); dall’altra, si dà origine all’avventura carismatica e missionaria della Chiesa nel mondo, secondo il mandato di Gesù: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16, 17). La Pentecoste, perciò, come afferma qualche studioso, segna una vera e propria svolta a livello ecclesiale: con essa finisce la predicazione di Gesù e comincia la predicazione su Gesù (R. Penna). Se l’Ascensione aveva chiuso il ciclo dell’esistenza terrena di Gesù, la Pentecoste apre quello dello Spirito e della Chiesa. La Chiesa costituisce così la ragione e il fine dell’opera dello Spirito. Egli non fa che portare a compimento l’opera iniziata da Gesù, attraverso i doni che la costituiscono. In questo senso ogni dono concorre alla realizzazione della Chiesa: la sapienza, la scienza, la fede, le guarigioni, i miracoli, la profezia, il discernimento, le lingue, l’interpretazione (cf. 1 Cor 12, 8-10), e cosi i ruoli: gli apostoli, i profeti, i maestri (cf. 1 Cor 12, 28). “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune” (1Cor 12, 7). Tutto concorre alla rivelazione, alla comprensione e alla realizzazione del mistero di Cristo nella Chiesa, ovvero l’amore trinitario. Ecco allora il miracolo di Pentecoste: compiere tra tutti i popoli il disegno d’amore di Dio, parlando l’unica lingua dello Spirito: l’amore.
Tra le immagini più appropriate per esprimere la realtà e la funzione dell’amore di Dio nel mondo vi è certamente quella della luce bianca, quale sintesi dell’infinita policromia dei colori presente nella varietà delle forme della natura. San Cirillo di Gerusalemme (del quale vi invito a leggere la sua catechesi che vi riporto al termine di questo commento) si rifà invece all’immagine dell’acqua di cui tutto ha bisogno. Essa scende dal cielo allo stesso modo e forma, ma produce effetti multiformi. La pioggia infatti non discende diversa, non cambia se stessa, ma si adatta alle esigenze degli esseri che la ricevono e diventa per ognuno di essi quel dono provvidenziale di cui abbisognano. Allo stesso modo anche lo Spirito Santo, pur essendo unico distribuisce ad ognuno la grazia che vuole.
Immagini queste che rendono il progetto d’amore di Dio una realtà suggestiva ed attraente, ma certamente non facile da realizzare nel mondo, specie quando si tratta di tradurlo nelle strutture relazionali della nostra vita ecclesiale e sociale. Una difficoltà che non poche volte si traduce in tensioni conflittuali più che in comunione di vita. In questo senso solo chi è intimamente unito a Cristo nello Spirito è in grado di realizzare nel mondo l’unità dell’amore nella diversità delle sue manifestazioni personali. È proprio questa la sfida che l’evangelista Luca ci invita a raccogliere dall’evento della Pentecoste: vivere l’unità nella diversità. Esattamente il contrario di quel progetto egemonico che Babele e tutte le moderne ideologie totalizzanti cercano costantemente di realizzare nel mondo: annullare le diversità con l’uniformità.
Dalle “Catechesi” di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
(Catech. 16, sullo Spirito Santo 1, 11-12. 16; PG 33, 931-935. 939-942) L'acqua viva dello Spirito Santo
“L'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4, 14). Nuova specie di acqua che vive e zampilla, ma zampilla solo per chi ne è degno. Per quale motivo la grazia dello Spirito è chiamata acqua? Certamente perché tutto ha bisogno dell'acqua. L'acqua è generatrice delle erbe e degli animali. L'acqua della pioggia discende dal cielo. Scende sempre allo stesso modo e forma, ma produce effetti multiformi. Altro è l'effetto prodotto nella palma, altro nella vite e così in tutte le cose, pur essendo sempre di un'unica natura e non potendo essere diversa da se stessa. La pioggia infatti non discende diversa, non cambia se stessa, ma si adatta alle esigenze degli esseri che la ricevono e diventa per ognuno di essi quel dono provvidenziale di cui abbisognano. Allo stesso modo anche lo Spirito Santo, pur essendo unico e di una sola forma e indivisibile, distribuisce ad ognuno la grazia come vuole. E come un albero inaridito, ricevendo l'acqua, torna a germogliare, così l'anima peccatrice, resa degna del dono dello Spirito Santo attraverso la penitenza, porta grappoli di giustizia. Lo Spirito appartiene ad un'unica sostanza, però, per disposizione divina e per i meriti di Cristo, opera effetti molteplici. Infatti si serve della lingua di uno per la sapienza. Illumina la mente di un altro con la profezia. A uno conferisce il potere di scacciare i demoni, a un altro largisce il dono di interpretare le divine Scritture. Rafforza la temperanza di questo, mentre a quello insegna la misericordia. Ispira a un fedele la pratica del digiuno, ad altri forme ascetiche differenti. C'è chi da lui apprende la saggezza nelle cose temporali e chi perfino riceve da lui la forza di accettare il martirio. Nell'uno lo Spirito produce un effetto, nell'altro ne produce uno diverso, pur rimanendo sempre uguale a se stesso. Si verifica così quanto sta scritto: “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune” (1 Cor 12, 7). Mite e lieve il suo avvento, fragrante e soave la sua presenza, leggerissimo il suo giogo. Il suo arrivo è preceduto dai raggi splendenti della luce e della scienza. Giunge come fratello e protettore. Viene infatti a salvare, a sanare, a insegnare, a esortare, a rafforzare e a consolare. Anzitutto illumina la mente di colui che lo riceve e poi, per mezzo di questi, anche degli altri. E come colui che prima si trovava nelle tenebre, all'apparire improvviso del sole riceve la luce nell'occhio del corpo e ciò che prima non vedeva, vede ora chiaramente, così anche colui che è stato ritenuto degno del dono dello Spirito Santo, viene illuminato nell'anima e, elevato al di sopra dell'uomo, vede cose che prima non conosceva.




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