30 Giugno 2024 - Anno B - XIII Domenica del Tempo Ordinario
- don luigi
- 29 giu 2024
- Tempo di lettura: 6 min
Sap 1,13-15; 2,23-24; Sal 29; 2Cor 8.7.9. 13-15; Mc 5,21-43
Non temere, continua solo ad avere fede!

“Essendo Gesù passato all’altra riva … si recò da lui un capo della sinagoga, di nome Giairo, il quale … lo supplicava con insistenza: La mia figlioletta sta morendo, vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva. Andò con lui… Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga, vennero a dire: Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il maestro? Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: Non temere, continua solo ad avere fede … Entrato in casa, disse ai presenti: Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme. E lo deridevano … ma egli prese la mano della bambina e le disse: Talità kum, che significa: Fanciulla, io ti dico: alzati! E subito la fanciulla si alzò e camminava, aveva infatti dodici anni” (cf. Mc 5,21-24.35-43).
Come già domenica scorsa anche oggi il brano evangelico viene introdotto da un’annotazione che ci riferisce di un ulteriore passaggio di Gesù, il quale dopo essere approdato all’altra parte del lago, fa di nuovo ritorno, alla riva dalla quale era partito. Sembrerebbe un particolare di poco conto, in realtà esso, come già abbiamo rilevato domenica scorsa, contiene un chiaro riferimento alla Pasqua, reso ancora più evidente dalla risurrezione della figlia di Giaro (cf. Mc 5,21-24.35-43). Esso sintetizza perciò l’itinerario di fede che Marco sviluppa attraverso questa pagina evangelica. Una fede caratterizzata dai continui passaggi dalla morte alla vita (cf. 1Gv 3,14), che anche noi siamo chiamati a compiere nelquotidiano della nostra vita spirituale ed ecclesiale.

In realtà l’episodio appena letto è solo uno dei due che la Liturgia della Parola ci propone quest’oggi, intervallato com’è dalla vicenda dell’emorroissa: una donna che da dodici anni era affetta da emorragia, motivo per cui “aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando”. Costei, “udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata. E subito le si fermò il flusso di sanguee sentì nel suo corpo che era guarita dal male. Ma Gesù, resosi conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla e disse: Chi ha toccato le mie vesti? I discepoli gli dissero: Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato? Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male” (cf. Mc 5,25-34).
L’evangelista Marco ci presenta questi due episodi con un insolito intreccio narrativo, rivelando un’abilità letteraria molto suggestiva e avvincente, capace di suscitare quel clima di suspense, tipico dei romanzieri e registi più avvezzi. Entrambi gli episodi sono accomunati da una simbologia numerica proveniente dall’uso che Marco fa del numero dodici, il cui valore si presta a diverse interpretazioni. Dodici, infatti, sono gli anni della malattia emorragica di cui è affetta la donna; dodici anche quelli dell’età della bambina che sta per compiere il passaggio verso la fecondità fisica. Alcuni vedono in questo numero un richiamo a quello delle dodici tribù d’Israele o più chiaramente a quello dei dodici apostoli, colti in un momento di svolta del loro cammino di fede, come si evince dalla missione alla quale Gesù sta per inviarli (cf. Mc 6,6-13). In realtà questi due episodi, più che da una simbologia numerica, sono accomunati dal tema della fede, della quale tanto l’emorroissa quanto il capo della sinagoga Giairo, ci offrono una straordinaria testimonianza.
Nel caso dell’emorroissa Marco ci presenta una donnache ci appare seriamente sfiancata, sia sotto l’aspetto fisico che psichico, e ciò è dovuto non solo alla malattia, ma anche al pregiudizio morale che la malattia comporta. Stando al libro del Levitico 15,25 le donne mestruate erano considerate impure, e perciò impossibilitate a interagire con gli altri. Se poi consideriamo che questa situazione perdurava da dodici anni, si capisce allora lo stato umiliante in cui viveva. Per giunta i diversi interventi terapeutici ai quali si era sottoposta, erano tutti risultati vani; a causa dei quali era rimasta letteralmente ‘dissanguata’ anche economicamente. Da qui l’assoluta discrezione con cui si muove tra la gente. Una simile situazione incresciosa sembrava offrirle solo motivi di disperazione. E invece, inaspettatamente, le si offre una possibilità: sentito parlare del passaggio di Gesù, s’introdusse coraggiosamente tra la folla, convinta che toccandogli almeno il mantello sarebbe guarita (cf. Mc 5,27). L’evangelista Marco, nella stesura narrativa di questo episodio, dimostra di avere anche doti di fine interprete psicologico, riuscendo a cogliere perfino le intenzioni più profonde e nascoste di questa donna: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salva” (Mc 5,28). Ma quello che doveva essere un gesto discreto, diviene presto noto a tutti: “Gesù, resosi conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla e disse: chi ha toccato le mie vesti?”. Una domanda che suona apparentemente assurda alle orecchie dei suoi discepoli che insieme alla folla gli si stringono intorno, senza lasciargli margine di movimento, i quali obiettano dicendo: “Tu vedi che la folla si stringe intorno a te e dici: chi mi ha toccato?”. Ma Gesù, volgendo sulla folla il suo sguardo introspettivo, cercava di scorgere colei che aveva compiuto un simile gesto. Lo sguardo evidentemente colpisce la donna che sentendosi interpellata, decide di venire allo scoperto. Così “impaurita e tremante la donna gli si gettò davanti e le disse tutta la verità” (Mc 5,35). Gesù le riconosce la fede e le dice: “Figlia, la tua fede ti ha salvata”.
Questo episodio, dicevamo, s’intreccia con quello del capo della sinagoga Giaro, dove la malattia della figlia lo costringe a rivolgersi a Gesù. Questo gesto passerebbe certamente inosservato se a compierlo non fosse il capo della sinagoga, dove Gesù aveva compiuto un esorcismo il giorno di sabato (cf. Mc 1,21-28). Egli era rimasto impressionato da Gesù. Da qui la decisione di rivolgersi a lui per una situazione dolorosa come la sua. Così, senza cedere ai pregiudizi che un simile gesto avrebbe ingenerato nei colleghi scribi, si espone mettendo in gioco la propria immagine e il proprio ruolo religioso. Malgrado tutto, questo suo sforzo sembra vanificarsi, quando gli portano la notizia della morte della figlia. Ma proprio in questa circostanza limite Gesù lo incoraggia con la sua parola: “Non temere, continua solo ad avere fede”. E per averlo fatto Gesù esaudisce la sua richiesta, restituendo alla figlia il soffio vitale.
Quale significato assumono questi due episodi per la nostra esperienza di fede? Nel caso dell’emorroissa Gesù esalta l’intima convinzione che deve accompagnare la richiesta di guarigione, senza la quale il suo intervento rischia di essere vanificato. Egli non opera da solo, o su iniziativa personale – sebbene ci siano anche casi di questo genere – ma in sinergia con la donna: “la tua fede ti ha salvato”, ama ripetere Gesù a seguito di un prodigio, come a voler dire che la guarigione non è solo la manifestazione del suo potere, ma il risultato della profonda unità che si viene a creare tra la sua volontà e quella del suo interlocutore. Nel caso di Giairo, invece, egli ci invita ad insistere nella convinzione, come a dire che quest’ultima da sola non basta, ma occorre perseverare nella convinzione, specie quando questa è minacciata dal dubbio o dallo scherno pubblico. Convinzionee insistenza costituiscono allora gli aspetti sui quali Gesù ci invita a volgere la nostra attenzione. Essi vanno promossi e sviluppati, soprattutto in quelle circostanze in cui l’autorevolezza di Gesù ci appare più minacciata e derisa (cf. Mc 5,40). La guarigione non è lo scopo della fede, ma è segno del potere salvifico di Gesù e come tale egli è degno di fede. È credendo in lui che otteniamo le cose, secondo le stesse parole di Gesù: “Tutto quello che chiederete nella preghiera lo otterrete” (Mt 21,22). “In verità, in verità vi dico: chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi … Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio” (cf. Gv 14,13-14; 15,16; 16,23).
Il cammino di fede nel quale ci sta introducendo Marco ci espone, quindi, a metterci in gioco, a non lasciarci ingabbiare dal ruolo, dal nome o dall’immagine che ci siamo creati a livello sociale o ecclesiale, come accade nel caso di Giairo, il quale nonostante tutto ha il coraggio di “gettarsi ai piedi di Gesù e pregarlo con insistenza”. Al contempo ci invita a uscire dalle situazioni umiliati e disagevoli a cui può relegarci una malattia, come nel caso dell’emorroissa. In ogni caso, quando ci ritroviamo a vivere in circostanze avverse, l’importante è rispondere all’incoraggiamento di Gesù: “Non temere, continua solo ad avere fede”, poiché “la tua fede ti ha salvato”.




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