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26/07/2020 - 17a Domenica del Tempo Ordinario - Anno A


1Re 3, 5.7-12; Sal 118/119; Rm 8, 28-30; Mt 13, 44-52

Il sapienza che salva


“Avete compreso tutte queste cose?” (Mt 13, 51), chiede Gesù ai suoi discepoli, come a sottolineare l’importanza della comprensione, senza la quale la sua Parola rischia di rimare vana. Egli aveva raccomandato la stessa cosa già nella spiegazione della parabola del Seminatore, dove affermava: “Tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende è simile a …” (Mt 13, 19). La mancata comprensione impedisce alla Parola di giungere al fine per cui è inviata (cf. Is 55, 11). Gesù insiste ripetutamente su di essa, come una condizione ineludibile, della quale il discepolo non può fare a meno, se vuole vivere appieno la sua Parola. La comprensione è ciò che distingue il discepolo occasionale da quello stanziale (cf. Mt 13, 11), il discepolo stolto da quello saggio (cf. Mt 25, 1-13). Essa determina la qualità dell’ascolto, per questo motivo costituisce il requisito preliminare affinché “ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli … estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (cf. Mt 13, 52).

Al termine del Discorso parabolico anche noi vogliamo soffermarci sull’importanza che Gesù attribuisce a questo atto, per capire il ruolo che esso ha nella nostra vita di fede. I brani biblici ai quali questa pagina evangelica viene associata, ci aiutano a cogliere, infatti, il profilo di quella visione sapienziale che Gesù richiede ad ogni suo discepoli. Nella sua visione, come in quella biblica, la comprensione è un atto che non si limita alla sola sfera intellettiva, come per noi occidentali, ma coinvolge anche lo spirito e il cuore. Esso è un atto sinergico, che l’uomo compie grazie al dono dello Spirito di Dio. Non a caso il termine latino cum-prehendo, sottolinea l’unità di questo atto. Il discepolo, nel momento in cui comprende, accoglie in sé, nella sua mente, facendo suo, il significato della Parola di cui lo Spirito lo rende partecipe, non solo per mezzo della sua intelligenza, ma anche per dono di Dio, come Gesù stesso fa notare a Pietro, quando viene fatto partecipe della sua identità messianica, direttamente dal Padre (cf. Mt 16, 13-19). Per questa ragione il comprendere coinvolge tutto l’uomo, la sua essenza, la sua unità inscindibile con Dio. Si tratta quindi di un atto fondamentale che consente al discepolo di cogliere le prerogative per attuare la Parola nel vissuto quotidiano e di dare ragione della propria esistenza di credente.

Comprendere il significato della Parola è, agli occhi di Gesù, un dono grande. Tale scoperta costituisce il nucleo della parabola del Tesoro nascosto nel campo. Per esso bisogna essere disposti a qualsiasi cosa, perfino, come fa san Paolo, a reputare una perdita il sapere umano, “di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù … per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura” (cf. Fil 3, 7-8). Naturalmente quella di Paolo, come quella di una persona che giunge ad una simile scoperta nella vita, è un’esperienza che può essere compiuta solo alla luce della Sapienza di Dio, ovvero della rivelazione del piano salvifico che Dio partecipa a coloro che chiama ad essere conformi all’immagine del suo Figlio (cf. Rm 8, 29). È chiaro che non ci riferiamo solo ad una rivelazione speciale, come quella di cui è stato fatto oggetto Paolo, ma anche a quella conoscenza religiosa, spirituale e teologica, alla quale possiamo pervenire gradualmente, attraverso gli sforzi quotidiani della nostra ragione, dei nostri studi, dei nostri approfondimenti, delle nostre indagini bibliche. Non è facile giungere a questo genere di sapere. Ad esso accedono di solito coloro che hanno il coraggio di mettere in discussione la propria visione di vita e di aprirsi a quella di Cristo. Spesso, inizialmente, si tratta solo un’intuizione, ma se custodita e creduta con tutto se stessi, diventa via via una vera e propria visione di vita sapienziale, tale da dare senso non solo alla propria esistenza, ma anche a quella degli altri.

La scoperta di tale significato presuppone quindi anche una ricerca, come lascia intendere la parabola della Perla preziosa. Comprendere è sì un dono gratuito di Dio, ma per giungervi è necessario anche uno studio, un esercizio, una riflessione sulla Parola di Dio, un ascolto costante della sua voce. Anche san Paolo, dopo essere stato fatto oggetto della rivelazione di Cristo sulla via di Damasco, ha trascorso un periodo di approfondimento e di confronto con Anania che lo battezzò e poi con Barnaba, che a sua volta lo presentò agli Apostoli e divenne suo primo compagno di missione, per cogliere il senso pieno della sua esperienza mistica, il cui significato gli si è dischiuso solo grazie ad un costante approfondimento teologico, come attestano i diversi racconti che egli fa di quell’evento nel libro degli Atti degli Apostoli e nelle sue lettere (At 9, 1-19; 22, 6-16; 26, 12-18; Gal 1, 11-17; Fil 3, 3-14; 1Tm 1, 12-17; Rm 7, 7-25). Non è sempre facile cogliere subito il valore delle esperienze religiose che facciamo nella vita. Spesso si tratta di imparare a distinguerle tra le tante che compiamo anche a livello culturale, o intellettuale, che non di rado possono prendere il sopravvento, fino a farci dimenticare quella spirituale. Distinguerle significa imparare a riconoscere la voce di Dio tra le tante che gridano nel mercato della vita. In questa situazione si rivela più che mai indispensabile chiedere il dono del discernimento, come fa Salomone all’inizio della sua esperienza regale e governativa (cf. 1Re 3, 5.7-12), che è l’arte con cui s’impara a riconoscere la voce di Dio tra le mille che albergano anche nel nostro cuore. Quella di Dio appare spesso piccola e insignificante, come il granello di senape (cf. Mt 13, 31ss), ma se si ha il coraggio di sceglierla diventa il tutto della nostra vita, al quale nessun altro significato o esperienza di vita regge il confronto. Cercare significa avere un’idea precisa della vita, per questo la ricerca non può essere esercitata a zonzo, ma finalizzata verso un obiettivo preciso, per il quale essere disposti a tutto, perfino a vendere il proprio patrimonio, pur di conseguirla. Cercare comporta perciò determinazione, decisione, fermezza, temperamento. Sapere a quale rivenditore rivolgersi per chiedere le giuste informazioni. Purtroppo anche a livello spirituale non mancano coloro che vendono perle di basso valore o mostrano scrigni che si rivelano vuoti e tarlati tesori. In ogni caso questa parabola ci aiuta a capire che la ricerca della perla, ovvero del senso della nostra vita, coinvolge tutto noi stessi. Esso mette in gioco i nostri sforzi e le nostre energie: spirituali, intellettive, affettive, volitive, esattamente come viene richiesto dal primo comandamento: “Amerai Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente” (Mt 22, 37). L’amore verso Dio non si riduce mai ad un semplice sentimento, ma comporta anche questo.

È alla luce di Dio che tutte le nostre forme di conoscenze: scientifiche, storiche, culturali, psicologiche, spirituali, artistiche, sociali … acquisite, spesso faticosamente, nel corso della vita, vengono comprese nel loro giusto posto e valore morale. Senza Dio ciascuna di esse rischia di essere assolutizzata e magari di costituire anche un investimento giusto, ma non tale da consentire alle persone di sperimentare la pienezza della vita. Occorre sapere bene per cosa vale la pena investire le proprie energie. E non sono pochi i casi di persone che solo alla fine della propria vita, quando cioè non hanno più modo di spendere tempo ed energie, fanno l’amara scoperta di aver impiegato male il proprio capitale. Occorre perciò chiedere più che mai il dono dell’intelligenza, nel senso più originale e autentico del termine, per leggere in Dio la nostra vita, la nostra storia, la storia della nostra gente, dell’umanità intera. Finché viviamo, condizionati come siamo dai tanti problemi contingenti, avvertiamo il bisogno di sapere tante cose oltre a quelle essenziali. Spesso non sappiamo distinguere le une dalle altre e lasciamo entrare qualsiasi cosa in noi, esattamente come fa il pescatore quando tira la rete in barca. Solo alla fine, giungeremo alla piena coscienza della nostra reale identità personale, ecclesiale e sociale e in Cristo avremo quella sapienza che ci consentirà di distinguere le opere buone che avranno costruito il regno di Dio in noi e nel mondo, da quelle cattive, condizionate dalla logica dell’interesse personale.

A conclusione del nostro commento, possiamo dire che le parabole sono come le esperienze spirituali che facciamo nella vita: all’inizio sembrano dirci poco o nulla, per cui difficilmente ci fermiamo a considerarle e farne tesoro, ma quando esse, sia pure per un solo istante, ci permettono di intravedere il senso della vita, allora ci sentiamo più motivati a viverle appieno, investendo per esse tutte le nostre energie. Preghiamo perché Dio ci doni lo Spirito per giungere alla sapienza che salva e divenire anche noi come il maestro che estrae dal tesoro della Parola cose nuove e cose antiche (cf. Mt 13, 52).

 
 
 

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