25 Agosto 2024 - Anno B - XXI Domenica del Tempo Ordinario
- don luigi
- 23 ago 2024
- Tempo di lettura: 5 min
Gs 24, 1-2.15-15.18; Sal 33; Ef 5, 21-32; Gv 6, 60-69
Volete andarvene anche voi?

“Volete andarvene anche voi?” (Gv 6,67), una domanda decisiva questa che Gesù rivolge ai suoi discepoli, al termine di tutto il suo discorso sul pane eucaristico. Per comprenderla è opportuno rileggere il capitolo 6° di Giovanni che abbiamo commentato in queste ultime domeniche. Esso è a fondamento della nostra fede in lui. Nessuno che si professi cristiano può dare ragione della propria fede, senza averlo adeguatamente compreso e vissuto. Si tratta di un discorso che, come abbiamo avuto modo di vedere, Gesù tiene nella sinagoga di Cafarnao, all’indomani del miracolo della moltiplicazione dei pani, durante il quale, confrontando il suo segno con quello mosaico della “manna” nel deserto, si propone ai suoi ascoltatori come il vero “pane vivo disceso dal cielo” (Gv 6,51). E come se ciò non bastasse, aggiunge: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Un’affermazione ardua la sua, che alle orecchie dei Giudei suona troppo pretenziosa, al punto da suscitare un evidente scandalo: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?” (Gv 6,52). A questa obiezione Gesù replica con un’affermazione ancora più impegnativa e profonda: “In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita… Chi mangia questo pane vivrà in eterno” (cf. Gv 6,53-58).
Stando all’evangelista Giovanni il discorso di Gesù diventa così impegnativo e radicale che perfino i suoi discepoli, sconcertati, si dicono l’un l’altro: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (Gv 6,60). Un amaro epilogo questo a cui giungono i discepoli, del quale l’evangelista non può fare a meno di riportarne le dolorose conseguenze: “Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.” (Gv 6,66). È impressionante constatare che tutta quella folla, di circa cinquemila persone, improvvisamente sparisce. Rimane Gesù circondato solo dai suoi apostoli. Scoraggiato dalla cocente delusione si rivolge a loro con una domanda provocatoria: “Volete andarvene anche voi?” (v. 67). Pur carica di amarezza essa si rivela decisiva per gli apostoli, in particolare per Pietro che si sente profondamente interpellato, da dare una risposta che è un autentico capolavoro di fede: “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (v. 68).
Rileggendo questo episodio evangelico, non possiamo fare a meno di notare l’affinità con quello descritto nel libro di Giosuè 24,1-2a.15-17.18b, della prima lettura. Anche qui gli Israeliti, come i discepoli di Gesù, sono attraversati da una profonda crisi religiosa. Il nuovo contesto socio-culturale, col quale entrano in contatto nella terra promessa, determina in loro il passaggio da una società nomadica a quella sedentaria, agricola, commerciale e cittadina. L’influsso si manifesta soprattutto a livello religioso: essi, infatti, non tardano a contaminare la propria fede con quella del culto idolatrico cananeo. Dinanzi all’inevitabile pericolo Giosuè sente l’esigenza di convocare il popolo, in quella che viene definita “assemblea di Sichem”, durante la quale pone loro questa domanda cruciale: “Sceglietevi oggi chi servire: se gli dei che i vostri padri hanno servito oltre il fiume … oppure gli dei degli Amorrei, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore” (Gs 24, 15)”. La testimonianza personale di Giosuè si rivela così persuasiva e decisiva da ricondurre il popolo nell’alveo della fede dei padri: “Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dei … perché egli è nostro Dio” (Gs 24, 16-18). Giosuè lungi dal costringerli li induce a fare memoria del passato, alla cui luce maturano una scelta di fede libera e responsabile: “E’ il Signore nostro Dio che ha fatto salire noi e i nostri padri dalla terra d’Egitto, compiendo grandi segni davanti ai nostri occhi … Perciò anche noi serviremo il Signore” (Gs 24, 17).
Una decisione questa del popolo che offre anche il criterio metodologico per giungere alla maturazione della fede biblica. Non è possibile rinnovare la propria adesione a Dio, senza fare memoria degli eventi prodigiosi con in quali Dio ci libera dalle varie forme di peccato. È alla luce di questa memoria storica personale e collettiva che si acquisiscono i criteri con cui riconoscere la presenza operante di Dio nell’oggi della nostra fede. Ed è grazie ad essa che si giunge alla coscienza del peccato e alla richiesta del perdono.
L’episodio evangelico unito a questo brano del libro di Giosuè ci offrono una chiave di lettura per rileggere il nostro contesto culturale, sociale ed ecclesiale. Similmente a quello politeistico d’Israele anche il nostro è caratterizzato da un pluralismo religioso globalizzante, che ha fortemente messo in discussione l’unicità della visione cristiana della vita, esponendo molti di noi al rischio di una nuova forma di idolatria: il frammentarismo spirituale, che ha originato una tale emorragia dei cristiani dalla Chiesa da esporla al rischio di una inevitabile minoranza, dinanzi alla quale risuona ancora estremamente attuale la domanda di Gesù: “Volete andarvene anche voi?”. Anche noi, come gli apostoli, ci ritrovano perciò dinanzi ad una svolta: rinunciare a credere nella sua Parola, come hanno fatto i discepoli, oppure decidersi definitivamente per lui e per la causa del suo Vangelo, come fa Pietro? Più che mai egli ci invita ad andare alle radici della chiamata e a rispondere alla domanda originaria della nostra fede: per chi e per che cosa abbiamo dato la vita? Quella di Gesù si rivela come la domanda decisiva che apre la nostra sequela verso una seconda chiamata, con la quale anche noi, come gli apostoli, siamo interpellati a rivedere radicalmente il senso della nostra fede in lui. La svolta spirituale che egli chiede di operare ai suoi apostoli diventa così quella alla quale ogni vero discepolo, e quindi anche noi, prima o poi, dobbiamo necessariamente giungere, se intendiamo pervenire alla maturità della fede. Essa non può essere elusa, ma implica un inevitabile cambiamento di vita. Anche noi come l’invitato nella Parabola delle nozze (cf. Mt 22,1-14) abbiamo bisogno di munirci dell’abito nuziale: non basta dunque partecipare al banchetto eucaristico e neppure limitarci ad una semplice adesione della sua Parola, ancora meno esercitare una pedissequa e banale sequela di Gesù, occorre conformare la propria mentalità a quella di Cristo e la propria vita al suo stile evangelico. Dinanzi dunque ad un discorso eucaristico, profondo e impegnativo come questo che Gesù tiene ai suoi discepoli, che non ammette incertezze o dilazioni, a ciascuno di noi egli pone ancora una volta la sua domanda: “vuoi andartene anche tu?




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