12 Gennaio 2025 - Anno C - Battesimo di Gesù
- don luigi
- 10 gen
- Tempo di lettura: 6 min
Is 40,1-5.9-11; Sal 103/104; Tt 2,11-14; 3,4-7; Lc 3,15-16.21-22
Uno stile di vita battesimale

“Poiché in quel tempo il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale non sono degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Lc 3,15-16).
L’idea di collocare liturgicamente il brano del Battesimo di Gesù dopo la celebrazione del Natale nasce da una visione profondamente intrisa di sapienza teologica: il piano rivelativo a cui abbiamo assistito durante tutto il periodo di Avvento e di Natale continua ancora col Battesimo e con le Nozze di Cana (cf. Gv 2,1-11). Attraverso questi eventi Gesù svela ulteriormente il mistero della sua identità divina e della sua missione salvifica nel mondo, inaugurando in questo modo uno stile di vita battesimale, incentrato sul cambiamento che scaturisce dalla partecipazione alla relazione d’amore che lui intesse col Padre nello Spirito Santo. Con la celebrazione del Battesimo di Gesù si conclude tutto il ciclo natalizio ed inizia il tempo ordinario.
A primo acchito l’episodio del Battesimo di Gesù sembra creare non poche difficoltà: le stesse che provavano i destinatari dell’annuncio evangelico nei primissimi anni dell’era cristiana. Non si capisce infatti come mai Gesù, riconosciuto unanimemente come “colui che è senza peccato”, si sia sottoposto al Battesimo di conversione di Giovanni, previsto per i peccatori. Per comprenderne il senso è opportuno allora rileggerlo alla luce del passo paolino della lettera ai Filippesi 2,5-11, dove viene detto che Cristo nel farsi uomo si sottopose volontariamente a un processo di ‘spogliazione’ della sua divinità. San Paolo esprime questo processo in termini di kenosi (parola greca che letteralmente significa “svuotamento”). In altre parole Cristo, nel condividere il piano incarnativo del Padre, decise liberamente di abbassarsi al livello dell’uomo, fino ad assumere la forma dello schiavo, alludendo in questo modo alla piena solidarietà con la condizione sociale più estrema dell’uomo: la schiavitù e più specificamente con la schiavitù del peccato, del quale assume le estreme conseguenze della morte. Il battesimo diventa così una tappa decisiva del cammino di umanizzazione di Cristo, a partire dalla quale egli dà origine al processo della redenzione. E lo fa ponendosi allo stesso livello dell’uomo, esattamente come un peccatore tra i peccatori. Avere gli stessi sentimenti di Gesù significa allora condividere con lui la decisione di svuotare il proprio io di tutte quelle prerogative umane che inducono ad esercitare l’egocentrismo, l’egoismo, l’individualismo come forma di dominio sull’altro. Vivere in modo battesimale significa perciò vivere come Cristo: interamente recettivi alla volontà di Dio e al suo disegno redentivo, teso all’amore per l’altro.
Ma proviamo a vedere più concretamente in che modo ciascuno di noi può tradurre nel proprio vissuto quotidiano questo itinerario battesimale. Per farlo partiremo da quello che il Battista propone ai suoi ascoltatori, allorquando costoro si lasciano interpellare dalle sue parole e soprattutto dalla sua testimonianza di vita, e gli chiedono: “E noi cosa dobbiamo fare? (Lc 3,10). È interessante notare che il Battista non chiede a tutti di praticare la conversione allo stesso modo, ma la adatta ai vari stati di vita. Cosi alle folle chiede la condivisione dei beni; ai pubblicani di non esigere più di quanto veniva garantito loro dal lavoro esattoriale; ai soldati di non estorcere i beni degli altri e di accontentarsi delle loro paghe. A ciascuno chiede di compiere ciò che è nella propria condizione di fare. Cosa chiederebbe a noi se lasciassimo risuonare la sua predicazione nei nostri cuori? Ci lasceremmo interpellare dalla sua parola? Come mai, pur avendo ricevuto il battesimo, non riusciamo a sviluppare ulteriormente la conversione e ad estenderla anche nei vari ambiti della nostra vita, oltre a quello religioso? Cosa ci impedisce di proseguire questa opera di trasformazione per tutta la vita e di compierla in modo integrale? [1] Non sarà perché non nutriamo più alcun interesse per la vita filiale di Cristo? Se intendiamo seriamente capire “cosa fare”, occorre più che mai avere il coraggio di aprirsi all’azione creativa e imprevedibile dello Spirito, anche qualora lui dovesse suggerirci di mettere in discussione il benessere che abbiamo così faticosamente conquistato o quanto meno il modo con cui lo gestiamo, compresa quella accomodante mentalità borghese che ci fa sentire del tutto appagati, eppure esistenzialmente vuoti. Lui e lui solo ci insegna a tradurre la vita battesimale nella nostra vita. E lo fa illuminando la nostra creatività e immaginazione spirituale.
Quello di Giovanni è chiaramente un battesimo di penitenza, la cui funzione è quella di condurre le persone alla coscienza del peccato e al suo pentimento. Prendere coscienza del peccato sarebbe, oggi, già un notevole traguardo, ma non è la sola cosa da fare, occorre pentirsi e chiedere perdono per essere liberati dalla colpa. Questa libertà è il valore aggiunto determinato dal battesimo di Cristo rispetto a quello del Battista. Ecco ciò che intende dire Giovanni con le seguenti parole: “Io vi battezzo con acqua, ma viene dopo di me colui che è più forte di me” (Lc 3,16). In altre parole Giovanni riconosce la superiorità del battesimo di Cristo e la esprime in questi termini: “Spirito Santo e fuoco” (Lc 3,16). In quanto Dio Gesù è colui che può riversare nei nostri cuori lo Spirito che ci riconcilia col Padre. Il battesimo predicato da Cristo costituisce perciò la vera pratica spirituale e morale che consente una reale remissione dei peccati. A conferma di questa superiorità Giovanni proferisce le seguenti parole: “Io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci ai suoi sandali” (Lc 3,16). Questa formula, solitamente interpretata come un atto di umiltà, in realtà è la citazione di un antico proverbio, abbastanza comune anche a quel tempo, che si rifà alla legge “del levirato” (dal latino levir = fratello dello sposo), descritta nel quarto capitolo del libro di Rut. Si trattava di una legge praticata da diversi popoli dell’antichità, compreso quello Ebraico, secondo la quale un uomo ha l’obbligo, o il diritto, di sposare la moglie del proprio fratello, qualora lui muoia prima di avere una discendenza. Il fratello, tuttavia poteva anche sottrarsi a tale obbligo, cedendo al prossimo fratello il diritto di prole, con una pubblica dichiarazione, davanti alla vedova e agli anziani del popolo. Tale rifiuto avveniva con un gesto che consisteva nello sciogliersi il legaccio del sandalo e cederlo al successore. Questa consegna confermava la decisione di svincolarsi da ogni obbligo e diritto. Citando questo proverbio Giovanni ci fa capire che pur disponendo del diritto ereditario e delle prerogative ad essere lo sposo di Israele vi rinuncia a favore di Cristo, riconoscendolo come il vero Sposo, designato da Dio, attestato anche dalla voce del Padre che si ode dal cielo: “Tu sei il mio Figlio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (Lc 3,22). Solo Cristo può veramente dare origine alla discendenza spirituale di Israele, secondo la promessa fatta ad Abramo.
San Paolo riprende questo discorso battesimale evidenziando la reale opera di Cristo, il quale ci salva non per i nostri meriti o per le opere di giustizia, di bontà, di altruismo che compiamo nella vita, ma per la sua gratuita misericordia che elargisce senza misura. Come a dire che Dio ha un unico desiderio: vederci salvati. Egli ancora più di una madre è pronto a trovare sempre una ragione pur di giustificare i propri figli (cf Tt 3,5-6). Si comprende in questa ottica la gioia che scaturisce dalle parole di gratitudine che il profeta Isaia sente di rivolgere a Dio, a seguito della dolorosa esperienza dell’esilio babilonese degli Israeliti: “Consolate, consolate il mio popolo … Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata … Ecco, il Signore Dio viene con potenza, … egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri” (Is 40,11). Come non ribadire allora anche tutta la nostra gratitudine a Dio con le parole del salmista: “Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo nome. Benedici il Signore anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici”? (Sal 103/102, 1-2).
[1] Una conversione cristiana per essere integrale va estesa ad ogni ambito della vita umana, come quello spirituale, morale, intellettivo, culturale, relazionale, sociale, lavorativo, economico ... Non c’è ambito umano che non possa essere rivisitato e trasfigurato della luce dello Spirito di Cristo.




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