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12/07/2020 - 15a Domenica del Tempo Ordinario - Anno A


Is 55, 10-11; Sal 64; Rm 8, 18-23; Mt 13, 1-23

L’ascolto che dà frutto


La liturgia della 15a domenica del Tempo Ordinario ruota intorno al tema dell’ascolto. Esso è un aspetto specifico e fondamentale della fede biblica. Insieme alla rivelazione di Dio costituisce un binomio imprescindibile: Dio parla, l’uomo ascolta. Si tratta dunque di una costante nel rapporto tra Dio e il suo interlocutore. I profeti se ne fanno interpreti con la formula divenuta celebre: “Ascolta Israele” (Dt 5, 1). Dall’ascolto dipende l’accoglienza e i frutti della Parola di Dio nel cuore dei credenti e nella storia del popolo. I brani biblici di oggi mettono in evidenza non solo la sua importanza, ma soprattutto la sua qualità. Gesù, particolarmente attento al suo aspetto pedagogico, ne evidenzia alcune modalità, attraverso la parabola del Seminatore (cf. Mt 13, 3-9), della quale, per altro, disponiamo anche una rara spiegazione fatta direttamente di lui.

Essa si trova nel cosiddetto Discorso parabolico (cf. Mt 13) che costituisce una raccolta di storie, tratte di solito dalla vita quotidiana, fatte di metafore, similitudini, allegorie sul Regno di Dio. Matteo rispetto a Marco e Luca, oltre ad elencarle ci spiega anche la ragione per cui Gesù, quando si rivolgeva alle folle, faceva uso di questo tipo di linguaggio. Alla domanda che i discepoli gli pongono: “perché parli loro in parabole?” (Mt 13, 11), egli adduce un motivo che ci lascia alquanto perplessi per la sua apparente discriminazione: “Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato”. Non che Gesù disdegnasse la folla a favore dei discepoli. Tutt’altro che discriminatorio il motivo è pedagogico. Egli distingue il modo con cui i discepoli occasionali ascoltano la sua parola, rispetto a quelli che lo seguono abitualmente. L’ascolto di cui lui parla, infatti, non si limita al solo fatto uditivo, ma comprende la diligenza, l’intelligenza, l’assimilazione, la comprensione, l’impegno, la continuità, la creatività di cui la sua parola necessita, per essere attualizzata nell’oggi della fede. Gli apostoli, rispetto agli altri discepoli, non solo l’hanno udita, ma si sono lasciati anche interpellare, al punto da compiere delle vere e proprie scelte di vita. Gli altri invece rimangono per lo più fermi ad un ascolto generico, vago, superficiale. Per questa ragione egli non può parlare loro con la stessa profondità con cui parla agli apostoli, ai quali dice apertamente e senza veli, ogni cosa. In realtà, come lascia intendere l’evangelista Giovanni, per un tempo, Gesù ha parlato in parabole anche agli apostoli, ma in seguito, quando essi raggiunsero un grado di maturità spirituale, cominciò a parlare loro apertamente: “Queste cose vi ho dette in similitudini; ma verrà l’ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi parlerò del Padre” (Gv 16, 25). È evidente che l’insegnamento di Gesù prevede argomenti che non possono essere esposti immediatamente all’ultimo arrivato, se non dopo un periodo di iniziazione. Più ci si addentra nella relazione personale con lui è più si acquista l’intelligenza per penetrare i contenuti della fede. Solo chi entra in una relazione interpersonale con lui ha modo di acquisire un’intelligenza che gli consenta di capire anche la profondità mistica della sua parola. Costoro vengono considerati “beati” da Gesù, perché hanno il privilegio di ascoltare e vedere ciò che neppure i profeti e i giusti ebbero modo di ascoltare e vedere (cf. Mt 13, 16-17).

La comprensione della parola non è solo questione di intelligenza speculativa, ma prima di tutto di accoglienza solerte e difesa premurosa del suo significato. Nella visione biblico-cristiana l’intelligenza nasce e si sviluppa a partire dall’accoglienza, ovvero dalla decisione intima e profonda di aderire con tutto se stessi alla parola. Pertanto “a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha” (Mt 13, 12). Ciò significa che a chi come gli apostoli decide nel proprio cuore di inoltrarsi sempre più profondamente nel rapporto con lui, sarà data sempre più intelligenza, a chi invece rimane solo ad un ascolto generico, sottoposto com’è ai condizionamenti e alle seduzioni del mondo, rischia di perdere anche quel minimo di comprensione che lo Spirito gli ha dato di avere. Per questo motivo la ragione che spiega il senso del linguaggio parabolico, non è solo pedagogica, ma anche morale. Gesù infatti citando il profeta Isaia 6, 9-10 (cf. Mt 13, 14-15), mette in guardia i suoi ascoltatori dalle possibili conseguenze negative a cui essi vanno incontro, quando si mostrano non solo superficiali, ma persino indifferenti o addirittura ostili al suo insegnamento.

Per Gesù è estremamente importante passare dall’uno all’atro tipo di ascolto, non solo se s’intende diventare come il maestro, capaci di imparare ad estrarre dal suo insegnamento cose nuove e cose antiche (cf. Mt 13, 52), ma soprattutto per raggiungere la salvezza. Questa per quanto gratuita necessita, quanto meno, di essere presa in considerazione, per evitare di lasciarsi sfuggire il dono che essa comporta.

Gesù con l’esempio dei quattro tipi di terreno intende far cadere l’attenzione dei suoi ascoltatori sulla disposizione d’animo con cui viene recepita la sua parola. Occorre fare attenzione ad essa, poiché è dalla disposizione d’animo che scaturisce l’ardore o l’indolenza per il Vangelo. Tutte le difficoltà, le resistenze, gli ostacoli che nascono a livello personale, relazionale e sociale, quando si cerca di assimilarlo, promuoverlo e fruttarlo, trovano qui la loro causa. È necessario dunque imparare a riconoscere le diverse disposizioni d’animo, attraverso un serio discernimento, per far fronte alle tentazioni con cui il nemico cerca, in tutti i modi, di rapire in noi la parola di Cristo. La cura della disposizione d’animo esige perciò continuità, fedeltà e una lotta contro se stessi e contro le seduzioni del mondo.

A cosa corrispondono dunque i singoli tipi di terreno? Alla qualità dell’ascolto e quindi all’intelligenza creativa con cui noi elaboriamo la parabola, quando ci impegniamo a comprenderla e a trovare la forma con cui incarnarla nella nostra vita. Questa è un’operazione personale, oltre che ecclesiale, che lo Spirito suggerisce ed ispira a ciascuno. E’ nostro compito perciò metterci in ascolto delle istanze delle persone per scoprire il modo, creare il linguaggio, trovare il mezzo e la forma con cui rendere la parabola comunicativa nel nostro contesto relazionale, culturale e sociale. È importante essere introdotti e iniziati a questa pratica, ma ancora più importante è assumersi la responsabilità della chiamata personale. Quella del Seminatore non è solo la parabola su Dio, ma soprattutto sugli ascoltatori e più specificamente sui tipi di ascolto.

Un primo tipo di ascolto (Mt 13, 4.19) è estremamente superficiale, legato solo al sentito dire, che non comprende alcun atto di riflessione e di comprensione del contenuto udito. Proprio perché superficiale e distratto viene rapidamente dimenticato. Per questa categoria di persone Gesù usa l’immagine del seme caduto sulla strada. Il suo terreno - ovvero il suo cuore, la sua intelligenza, la sua ragione - è duro, impenetrabile, inadatto ad essere arato, coltivato, per il continuo calpestio delle persone che gli hanno fatto perdere la friabilità e la fecondità. Ciò rende praticamente impossibile l’attecchimento del seme nel terreno. Come il terreno anch’egli, col tempo, a contatto con la durezza della vita è diventato inflessibile, poco malleabile, rigido, resistente a qualsiasi nuova idea o buona notizia. Non che egli non cerchi più di cambiare, ma che si scopre incapace di farlo, a causa delle sue abitudini negative. Egli vive la vita solo a livello epidermico, superficiale, emotivo, senza mai entrare in contatto con una persona o un contenuto serio, profondo, impegnativo. Per questa ragione è continuamente esposto al rischio di perdere quel poco di buono che in lui si trova. Egli è facile preda del maligno che non trova difficoltà a rapirgli quelle poche idee divine che lo Spirito le ha concesso di acquisire. Ogni sforzo cognitivo con queste persone sembra sprecato. Occorre guardarsi dall’impegnare energie con questa categoria di persone, al fine di evitare inutili aspettative e delusioni. Malgrado tutto il seminatore, pur attento a non sprecare il suo seme, non disdegna di lasciarne cadere una parte tra queste persone refrattarie. Come a dire che comunque occorre, anche in questi ambiti, lanciare l’invito della salvezza.

Un secondo tipo di ascolto (Mt 13, 5-6.20) è quello che non tiene conto delle dei limiti personali, per cui solo dopo aver accolto con euforia la parola di Cristo, ci si rende conto della responsabilità che essa comporta nella vita e davanti a tali impegni si finisce col ricredersi. Gesù esprime la necessità di un’adeguata e previa considerazione della proprie potenzialità prima di decidersi per lui. Egli torna su questo anche in altri luoghi e con altre immagini, come quando dice: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio” (Lc 9, 62); oppure: “Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo dicendo: costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro … “(Lc 14, 28-30ss). Non basta perciò aderire a Cristo, occorre anche verificare se si è idonei a seguirlo e si dispone delle giuste qualità per portare a compimento il disegno che Dio ha su di lui. Volendo tradurre tutto ciò a livello pratico potremmo dire che non basta desiderare di sposarsi con un matrimonio cristiano, se poi si scopre di non poter vivere secondo la sue disposizioni; così come non basta voler fare il sacerdote o il missionario in terre difficili, se s’intende condurre una vita comoda come quella da impiegato d’ufficio. Più estesamente potremmo dire ancora che non basta avere il desiderio e la volontà di andare sulla luna, se poi si constata di aver paura di viaggiare nella navicella spaziale. Costui proprio perché pieno di impedimenti non è idoneo alla scelta di vita evangelica proposta da Gesù, salvo che non prenda provvedimenti personali e chieda aiuto alla grazia di Dio, senza la quale tutti gli sforzi fatti, per accogliere e fruttare la parola vengono rapidamente vanificati. Alla rapidità dell’accoglienza corrisponde la stessa rapidità del congedo.

Un terzo tipo di ascolto (Mt 13, 5-6.20b-21) è quello che non mette in conto, nel proprio cammino spirituale, delle prove che la parola di Dio comporta. Qualsiasi scelta nella vita, specie quelle esistenziali, vengono necessariamente e proporzionatamente verificate. La prova ha la funzione di accertare l’autenticità della scelta. Chi si rifiuta di passarvi attraverso o vi rimane dentro, si preclude la possibilità di crescere. Le spine a cui si riferisce Gesù alludono a tutte quelle forme di seduzioni, suggestioni, desideri provenienti dalla carne o dal mondo che – come abbiamo avuto modo di vedere domenica scorsa nella lettera di san Paolo ai Romani 8, 9.11-13 – si presentano non appena si decide di fare seriamente per Cristo. In questo senso il Vangelo comporta una logica di vita che non può assolutamente collimare con quella del mondo. L’una tende al dono di sé, all’apertura all’altro da sé; l’altra al possesso, al dominio, all’egoismo, egocentrismo e alla riduzione dell’altro a sé. Si tratta di due logiche di vita che generano orientamenti esistenziali diametralmente opposti. Senza conoscere queste dinamiche e apportare adeguate correzioni, si rischia di tormentarsi, lacerarsi, frustarsi, deprimersi rimanendo sempre sospesi tra Dio e l’io. Non è possibile perciò aderire alla parola di Dio e non curarsi di togliere tutto quello che fa attrito con essa o addirittura la ostacola nella crescita.

Un quarto tipo di ascolto (Mt 13, 8.23) è poi quello legato alla pratica della parola di Dio. Chi l’accoglie non si limita solo ad udirla e a capirla, ma a viverla. L’ascolto prevede sempre questa unità cognitiva e pratica della parola. Solo costui sperimenta tutta la straordinaria potenza della parola che fa ciò che dice, poiché viene da Dio. Essa è “come la pioggia e la neve che scende dal cielo e non vi ritorna senza averla irrigata, fecondata e fatta germogliare” (cf. Is 55, 10).

Questo brano evangelico ci suggerisce allora alcune riflessioni e domande. Anche noi, in qualità di cristiani, siamo nel mondo parole di Dio, elargite e sparse dalla sua mano provvidente e generosa, per far lievitare la pasta dell’umanità e dare gusto, gioia a quanti stanchi e sfiniti vivono la vita senza senso. È importante prendere coscienza del compito ineludibile che noi cristiani siamo chiamati a svolgere non solo nei confronti delle persone, ma persino della creazione, che come ci dice san Paolo, attende la rivelazione dei figli di Dio. Essa vive nella speranza di essere liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio (cf. Rm 8, 19-21). Ma quanti operano secondo questo disegno di Dio e desiderano realizzare ciò che lui vuole? Quali e quanti sono i frutti che produce la nostra fede? In quale tipo di ascolto mi sento espresso? Dall’albero si vedranno i frutti. “Chi ha orecchi, ascolti” (Mt 13, 9).

 
 
 

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